Week end in Spagna

Week end in Spagna 29 marzo 2014
Volendo approfittare dell’intera giornata, l’alzata è alle 3.50. Fa abbastanza freddo, ma non tanto quanto a Malpensa, mentre aspettiamo la navetta che ci deve accompagnare al terminal dell’aeroporto. Scambiamo due chiacchiere con una coppia diretta a Cuba, che però ha l’aereo alle 8.00 e non si preoccupa per il ritardo dell’autista. Noi invece siamo impensieriti e tutto considerato non ci dispiace che, malgrado arrivi con la faccia da sonno, si lanci alla velocità della luce fuori dell’autorimessa. Arriviamo ultimi ma in tempo. Una hostess ci sta aspettando al gate e noi saliamo velocemente la scaletta, accolti dagli sguardi dei passeggeri al completo. Il viaggio si svolge sopra uno strato di spesse nubi che non ci permette di vedere quando voliamo sulla terra e quando sul mare. Atterriamo all’aeroporto di Barajas in perfetto orario e seguendo le indicazioni per il metrò arriviamo all’ufficio dove si possono acquistare abbonamenti turistici per uno o più giorni. Noi compriamo solo quello per oggi (8,20 euro a testa), che scade a mezzanotte. E’ un biglietto molto piccolo e ci viene consegnato unitamente a una mappa della metropolitana. Prendiamo la linea 8 (rosa) fino a Nuevos Ministerios, poi la linea 10 (blu scuro) in direzione Puerta del Sur, scendiamo alla fermata di Tribunal e da lì, la linea 1 (azzurra) che ci lascia a Puerta del Sol, in pieno centro. E’ una grande piazza molto trafficata e brulicante di vita, ritenuta il chilometro zero della città e il centro della penisola iberica, il punto da cui calcolare tutte le distanze. La prima cosa che si nota uscendo dal metrò è l’edificio neoclassico della Real Casa de Correos, oggi sede del Governo della Provincia. Il suo orologio ha una storia curiosa. Pare che i madrileni, furibondi per il malfunzionamento del primitivo orologio, cronicamente in ritardo, avessero composto un motivo che più o meno recitava: “Perché l’orologio funziona tanto male? Perché è lo specchio del governo che sta sotto”. A salvare la situazione, fu un orologiaio di fede liberale, esule a Londra, J.R. Losada, che esperto di meccanismi di precisione regalò nel 1866 alla città di Madrid un orologio finalmente funzionante e che ancora oggi scandisce la mezzanotte a capodanno accompagnando i madrileni nel rito beneaugurante dei dodici chicchi di uva.
A piedi raggiungiamo l’albergo Carlos V, ma la camera non è ancora pronta. Lasciamo i bagagli alla reception e riprendiamo il metrò fino alla stazione di Atocha. Vogliamo informarci su orari e treni per Toledo, ma soprattutto vedere da dove partono, perché arrivando spesso e volentieri all’ultimo minuto, conoscere il posto giusto ci ha sempre salvato. Ci rendiamo subito conto che è stata una buona idea, perché il luogo è vasto e punto di partenza per molte linee di treni. Alle informazioni ci raccomandano di fare subito il biglietto e dopo un’ora di coda concordiamo che mai consiglio fu così utile. Mentre aspettiamo, chiedo a una signora seduta vicino a noi dove si trova la vecchia stazione. Lei si alza e mi ci porta, e facciamo in tempo a tornare prima che arrivi il nostro turno. Comprato finalmente il biglietto, andiamo a vedere la vecchia stazione abbellita dal giardino tropicale – con tanto di statua dell’agente di commercio.
Poi visitiamo il monumento alle vittime dell’attentato terroristico dell’11 marzo 2004. Non è in vista, però ci sono dei cartelli che aiutano a trovarlo. Accedendo attraverso una doppia porta, entriamo in uno spazio vuoto, dominato dal colore blu e appena illuminato dalla luce che scende dall’alto, lungo una pellicola che riporta frasi in lingue diverse. Sono le stesse frasi lasciate spontaneamente da madrileni e turisti dopo la strage, per esprimere vicinanza e cordoglio.
Cattedrale dell’Almudena Rientriamo in albergo, ci rinfreschiamo e poiché la fame punge, andiamo a mangiare nel primo locale che ci ispira. Raggiungiamo poi la monumentale Plaza Mayor, dove alcuni artisti di strada apparentemente privi di testa passeggiano come turisti qualsiasi. Non è molto affollata, probabilmente per il freddo e il cielo che minaccia tempesta. Passando accanto al mercato di San Miguel, ci spiace non avere avuto più pazienza, perché sembra davvero un bel posto dove assaggiare ciò che si vuole. Continuiamo il cammino attraverso il “quartiere asburgico” raggiugendo la Plaza de Oriente. Qui sorgevano le mura arabe, di cui ora non è rimasto quasi nulla. Il nome della cattedrale – Almudena – sembra derivi da “almudaina”, magazzino di grano, che sorgeva in un punto poco lontano da quello in cui secondo la tradizione fu nascosta un’immagine della Vergine per sottrarla alla profanazione dei Mori. La cattedrale dell’Almudena ha una storia tormentata, perché i vescovi di Toledo, antica capitale spagnola, non volevano che Madrid avesse una propria sede arcivescovile. Vinte le loro resistenze, fu dato l’avvio verso la fine del 1800 alla costruzione della cripta neoromanica e della cattedrale, ma il lavoro proseguì per molti anni, al punto che l’edificio è stato consacrato solo nel 1993, da papa Wojtyla.
La luminosità dell’interno neogotico permette di apprezzare il contrasto tra il candore dei muri, degli archi e delle colonne, i colori vivaci delle raffigurazioni e le forme astratte delle vetrate. L’insieme di stili diversi può non piacere, ma considerando la storia travagliata dell’edificio si può dire che l’effetto finale sia dignitoso. Da non perdere, ovviamente, il retablo cinquecentesco di Juan de Borgogna che contorna la statua della Vergine. La cattedrale costituisce quasi un tutt’uno con il Palazzo Reale, utilizzato solo in occasione delle cerimonie ufficiali. Se Juan de Borgogna si sarebbe formato nella bottega del Ghirlandaio, il Palazzo Reale presenta uno dopo l’altro i nomi di numerosi architetti e pittori italiani, su tutti Juvara, Sacchetti, Tiepolo e Raffaello. La visita non richiede la guida, è possibile muoversi liberamente trovando in ogni ambiente le spiegazioni necessarie. Se quelli grandiosi come la Sala del Trono e la Sala dei Banchetti (perfettamente apparecchiata) richiedono più tempo, anche le sale più piccole sono degne di attenzione.
Sala dei banchettiLasciato il palazzo sotto una pioggia battente, prendiamo di nuovo il metrò per andare al museo del Prado. Scendiamo alla fermata di Cibeles, grande e trafficatissima piazza contornata da bei palazzi e con al centro la settecentesca fontana di Cibele, la dea della fecondità, punto di ritrovo per i tifosi del Real Madrid quando festeggiano le vittorie della loro squadra. Percorriamo il Paseo del Prado, e una volta arrivati al museo rinunciamo al proposito di visitarlo: la fila si snoda lungo tutto l’edificio, arrivando fino al Reale Giardino Botanico. Scopriamo che è scattata l’ora per l’ingresso gratuito, ma sicuramente, ora che arriviamo noi, sarà ora di chiusura. Continuiamo a passo sostenuto la nostra passeggiata verso la stazione di Atocha, mentre continua a piovere a catinelle, e torniamo a Puerta del Sol. Mangiamo al “Topolino”, con formula self service e all you can it in compagnia di una scolaresca italiana che festeggia un compleanno e fa più baccano di tutti i madrileni presenti. Poi andiamo in metrò fino alla fermata di Chamartìn per assistere ai giochi di luce azzurra che simulano una cascata appena sopra la stazione, e ci portiamo alla fermata successiva per vedere le torri Kio inclinate, avvolte dal pulviscolo creato dalla pioggia insistente. Al ritorno, alla fermata di Chamartìn, vediamo che sul binario opposto il treno è fermo e la stazione è piena di tifosi e forze di polizia.
Ogni tanto una voce informa “Attenzione, stazione in curva. Scendendo, facciano attenzione a non mettere il piede tra carrozza e banchina”, ed effettivamente è opportuno guardare in basso mentre si esce.
Alle spalle del nostro albergo, andiamo a vedere (dall’esterno, data l’ora) il Monastero de las Descalzas Reales, un palazzo nobiliare alquanto arcigno, trasformato in monastero di clausura, che racchiude importanti opere artistiche, tra cui dipinti di Tiziano.
30 marzo 2014
Questa notte non c’è stata traccia di movida, probabilmente per il tempo inclemente. Apriamo la finestra e nonostante il cielo ancora basso, costatiamo con sollievo che non piove più. Scendiamo per la colazione appena apre la sala, alle 7.30, insieme a un’altra coppia. Poi corriamo ad Atocha a prendere il treno per Toledo. Dobbiamo passare il controllo bagagli, come in aeroporto. La linea è quella dell’alta velocità e il treno, silenziosissimo, lascia la città e scivola lungo una pianura vastissima e ondulata. Ci accorgiamo solo adesso che l’impiegato ha sbagliato l’ora del ritorno, spostandola due ore dopo quella che gli avevamo detto, ma pazienza. Una hostess passa con gli auricolari per sentire la radio. Io incappo nel “Sogno della sposa di Roldàn”, un poema di origine cinquecentesca ispirato alla Chanson de Geste in cui si narra la morte del paladino Rolando a Roncisvalle. Il sottofondo di musiche medievali e il treno che sfiora i trecento chilometri orari sono un mix davvero curioso.
Dopo circa mezzora di viaggio, scendiamo alla stazione di Toledo, costruita nel 1920 in stile arabo.
stazione ToledoSi potrebbe raggiungere la città a piedi, ma prevedendo di dover camminare come dromedari su e giù per l’intera giornata, preferiamo ricorrere al pullman che per 2,50 euro porta nel punto più alto, all’Alcazar. Nonostante il nome faccia pensare a una struttura antica, la fortezza attuale fu riedificata dopo la Guerra Civile e ora ospita la biblioteca nazionale e il museo dell’esercito. Dai giardini si gode una bella vista sul Tago, l’Academia militar de Infanteria e il castello di San Servando. Si narra che il Cid campeador, protagonista della lotta contro i Mori nell’anno Mille, attese in questo castello l’incontro con il re Alfonso VI che lo aveva ingiustamente esiliato. La fortezza conobbe alterne vicende di fortuna e decadenza. Restaurata dopo il 1945, è utilizzata come ostello della gioventù.
Lasciati i giardini, ci portiamo verso il Museo delle Belle Arti. E’ impossibile entrare ad ammirare le opere di El Greco, non solo a causa della lunga fila all’esterno, ma perché un cartello avverte che non si accettano più prenotazioni.
Cid campeadorScendiamo allora verso il basso, percorrendo le strade strette e caratteristiche, per raggiungere il quartiere ebraico. Entriamo nella Sinagoga del Transito, la più grande di Spagna e una delle poche rimaste dell’epoca medievale. Nelle sale adiacenti, in giardino e nel matroneo è ospitato il museo che ricostruisce la storia degli ebrei sefarditi. Dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna, la sinagoga divenne una chiesa cristiana dedicata alla Madonna del Transito. Ci spostiamo a Santa Maria la Blanca, un tempo Sinagoga Mayor, più antica della precedente. Fu costruita da architetti arabi che le diedero un aspetto da moschea (quando si dice la reciproca tolleranza…) erigendo una vera foresta di archi candidi. Nei secoli, divenne un luogo di ritiro per prostitute pentite, una caserma, un magazzino… Oggi, benché proprietà della chiesa cattolica, non è utilizzata per il culto. L’addetto alla biglietteria, senza che gli chiedessimo niente, ci dice che possiamo fotografare tutto quello che vogliamo, ed effettivamente il luogo è tanto particolare da prestarsi a varie inquadrature che mettono in risalto il gioco delle prospettive.
Sempre restando nell’antico quartiere ebraico, raggiungiamo la casa museo di El Greco. Anche qui dobbiamo rinunciare, non solo a causa della lunga fila. Appena riusciamo a fare un metro, arriva un gruppo che ha la precedenza… e torniamo indietro come i gamberi! Visitiamo allora la chiesa di San Tomè, dove è esposto uno dei quadri più famosi di El greco, “La sepoltura del signore di Orgaz”, un quadro che ispirò Picasso per il suo “Evocazione”, dipinto in memoria di un amico morto suicida e che segnò l’inizio del cosiddetto Periodo Blu dell’artista.
Ci fermiamo per una sosta in un ristorante accanto alla chiesa, le cui pareti sono abbellite dalle riproduzioni dei volti dei gentiluomini dipinti nel quadro di El Greco. Visti così, da vicino, sorprendono per il loro realismo. Sentendo che siamo di Milano, il padrone ci dice che conosce solo il Duomo, e che è l’unico monumento degno di nota. Gli faccio notare che non è così, Milano è ricca dal punto di vista artistico, anche se probabilmente si fa conoscere più come capitale della moda.
La prossima visita è alla chiesa di San Juan de Los Reyes, voluta dai re Cattolici Isabella e Ferdinando. Il chiostro gotico e il giardino con cespugli, piante di aranci e un bellissimo pino argentato danno ragione a chi ritiene che questi luoghi debbano richiamare con il loro fascino il paradiso. Il chiostro è su due livelli, il soffitto del primo piano è recente ma si inserisce bene nel contesto. Anche l’interno della chiesa, con il suo grande retablo, è degno di attenzione.
chiesa o cattedraleLa chiesa del Salvador conserva numerosi reperti dell’epoca visigota, come una colonna sulla quale sono scolpite scene del Vangelo, tra cui l’incontro con la Samaritana al pozzo e la guarigione del cieco nato. I volti furono scalpellati dopo la conquista musulmana. E’ possibile salire sul campanile, che senza essere altissimo permette la vista sui tetti della città.
L’ultimo luogo che visitiamo è la Cattedrale, con audioguida compresa nel prezzo. E’ un edificio grandioso, bisognerebbe dedicargli l’intera giornata per poterne apprezzare i dettagli e sarebbe una giornata ben spesa.
Visto che il sole si avvia al tramonto, scendiamo verso il basso. Non sappiamo se stiamo andando dalla parte giusta, però percorriamo vicoli silenziosi, fuori dai circuiti fatti fino a quel momento, dove è un piacere camminare. Chiediamo indicazioni a un gruppo di anziani che sembrano ben contenti di aiutarci e infatti parlano tutti assieme indicandoci la strada più breve. Le loro indicazioni ci portano al ponte pedonale di Alcantara, da cui raggiungiamo velocemente la stazione. Il viaggio è tranquillo come all’andata, con la differenza che il tempo è migliorato e il cielo color turchese è tutto un rincorrersi di nuvole che sembrano scendere quasi sulla pianura e sparire poi all’orizzonte.
Rientrati a Sol, ci concediamo una cena pantagruelica al ristorante De Maria e rientriamo passando accanto alla scultura dell’orso che si nutre dei frutti di corbezzolo, simbolo di Madrid riportato sullo stemma con le sette stelle dell’Orsa Maggiore. Poco lontano dall’albergo, un gruppo di musicisti di strada sfida il freddo e regala a noi passanti la colonna sonora di fine giornata.
31 marzo
Questa mattina andiamo a piedi fino al Prado, lungo una via che costeggia la Camera dei Deputati e dove sono posteggiate molte auto blu. Al museo non troviamo coda, probabilmente perché è lunedì mattina (e ovviamente la visita non è gratuita). All’interno c’è solo qualche scolaresca e quindi ci si può soffermare a piacimento davanti ai quadri. La sala di El Greco è molto interessante, e ci chiediamo come potesse un pittore con quello stile essere apprezzato alla sua epoca. La colomba dello Spirito Santo nel quadro dell’Annunciazione sembra calare come un falco, con una dinamicità che lascia di stucco. Invece nella sala del “periodo nero” di Goya è meglio non fermarsi troppo, e passare al dipinto delle Meninas di Velázquez, per chiedersi se il pittore sta dipingendo i Reali, riflessi nello specchio alle sue spalle, le bambine che pure sono di fianco o la folla di persone che forse lui si augurava si fermassero davanti al quadro. La nostra visita dura quattro ore, ma come tutti i grandi musei, bisognerebbe tornarci a più riprese, seguendo l’esempio di alcuni pittori che vediamo riprodurre al cavalletto alcune delle opere e le lasciano incompiute per tornare dopo. All’uscita, facciamo una passeggiata distensiva nel Reale Giardino Botanico, ancora un po’ indietro nelle fioriture, ma comunque bello.
Ci sarebbe piaciuto visitare i parchi madrileni, ma il tempo, sia quello atmosferico sia quello implacabile dell’orologio, non lo hanno permesso.
Huertas Rientriamo lungo le strade di Huertas, il quartiere letterario, più raccolto e interessante a mio giudizio di quello imponente del quartiere asburgico. Lungo la strada si possono leggere frasi ricavate dai grandi romanzi e drammi del Siglo de Oro. Facciamo una sosta davanti alla casa di Cervantes e a quella di Lope de Vega, sbucando poi davanti al Teatro nazionale dove la statua di Federico Garcia Lorca guarda verso l’edificio in cui hanno appena messo in scena una delle sue opere, “La casa di Bernarda Alba”. Sul fondo troneggia invece la statua di Calderòn de la Barca, cui qualcuno, non sappiamo perché, ha messo una benda gialla sugli occhi.
Ci fermiamo a consumare uno yogurt al Llaollao, un locale con arredo minimalista bianco e verde che dà un’idea di pulizia e freschezza. Una volta ripresi i bagagli che ci hanno gentilmente tenuto nel deposito dell’albergo, prendiamo il metrò per l’aeroporto, dove i controlli sono più severi che a Malpensa. Arriviamo di corsa all’imbarco, però stavolta non siamo gli unici in ritardo. Sembra che i bagagli a mano abbiano occupato tutti i posti disponibili, per cui mandano in stiva quelli delle persone arrivate per ultime. Dovendo applicare le etichette, l’imbarco è molto rallentato. Tuttavia durante il viaggio si recupera il tempo perso e sbarchiamo a Malpensa in orario.
“Visitare terre lontane e conversare con genti diverse rende saggi gli uomini” (Miguel de Cervantes)
Grazie per averci letto!
Testo di Nadia Silistrini, foto di Fabrizio Tagliabue
Lascia una Commento