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Foresta Nera in bicicletta germania

Un giro in bicicletta attraverso la Foresta Nera

by: Nadia Silistrini
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Baviera Carinzia

La scelta di viaggiare in bicicletta nella Foresta Nera

Giovedì 8 luglio 2010

“Ciò che ci occorre – disse Harris – è un cambiamento. Ho trovato! Un giro in bicicletta attraverso la Foresta Nera”

Esordisce così, rivolgendosi agli amici, uno dei personaggi del romanzo umoristico Tre uomini a zonzo di Jerome K. Jerome. La scelta di viaggiare in bicicletta era quasi obbligata nella Germania di fine Ottocento ma i nostri eroi volevano soprattutto depistare mogli e figli.

“Dobbiamo scegliere un posto in cui nessuna donna o nessun bambino delicato possa vivere: un paese in cui si trovino soltanto pessimi alberghi e in cui sia scomodissimo viaggiare; in cui dovremo soffrire mille privazioni, lavorare duramente e forse morir di fame…”
“Piano! – interruppe George – Piano! Non dimenticare che vengo anch’io!”
Harris doveva essere un tipo convincente e George un osso duro.
“ Ci sono sempre una quantità di salite, in un giro in bicicletta e si ha sempre il vento contrario!”
“Ma ci sono anche le discese e il vento favorevole”, disse Harris.
“Mai osservato”, esclamò George.

foresta neraNoi non dubitiamo che un giro in bicicletta sia il modo migliore per visitare la Foresta Nera, ma siccome non ci siamo mai stati, giudichiamo prudente cominciare a vederla in macchina.
Da questa premessa, si può capire che soprattutto George, oltre a Jerome ed Harris, sarà il nostro ideale accompagnatore.
Partiamo da Sesto San Giovanni nella mattinata, decidendo di non prendere l’autostrada né in Italia né in Svizzera, e non solo per risparmiare. Abbiamo imparato che al di fuori dei percorsi obbligati c’è sempre qualche cosa di bello e di inaspettato da scoprire, soprattutto per chi concepisce il viaggio come fine, oltre che come mezzo per raggiungere un determinato posto.
Partendo a metà settimana ed essendo ancora luglio non abbiamo problemi di traffico. Passiamo il confine sotto lo sguardo vagamente inquisitore dei doganieri italiani e nella più totale indifferenza di quelli svizzeri. Facciamo una breve sosta a Bellinzona, di cui volevamo visitare almeno uno dei castelli, ma non abbiamo franchi per pagare lo Zentrale Parkuhr che qui mettono ovunque e non avendo voglia di perdere tempo a farci cambiare pochi euro, ripartiamo facendo sosta per fame in una piccola area alberata lungo la strada, con tanto di fontana.
Il paese vicino si chiama Giornico.
Mangiamo panini e frutta biologica seduti sotto una pianta ombrosa che ogni tanto lascia cadere piccoli chicchi blu sull’erba. Poco lontano scorre il Ticino. Esploriamo attentamente con lo sguardo il prato intorno a noi alla ricerca di cartacce. Quando ormai stiamo per rinunciare, ne troviamo due, microscopiche. Non c’è alcun cartello che ingiunga Non calpestare l’erba oppure Rispetta la natura ma tutte le volte in cui andiamo a prendere qualcosa in macchina, ci muoviamo lungo il prato seguendo attentamente le pietre del sentiero. Ci comportiamo educatamente anche a casa nostra, ma qui è impossibile sfuggire al genius loci.
Mangiamo in compagnia delle poche macchine che passano lungo la strada e i treni merci che corrono sul ponte che attraversa la valle. Sono talmente lunghi che la locomotiva infila la galleria mentre l’ultimo vagone esce dalla galleria opposta.
Alle nostre spalle, su un ponte che congiunge i due lati della valle, passa l’autostrada. Giornico è chiamato il paese dei due ponti. Non possono essere questi due. Finiamo di mangiare guardando le poche costruzioni anonime dall’altro lato della strada. Niente di che, viene da dire, nulla di speciale. Per di più il sole picchia forte, la bolla africana è arrivata anche qui. Mi sa che i ponti sono proprio i due manufatti moderni.
Dall’altra parte del fiume emergono i profili di alcune chiese romaniche. Vale la pena non farsi abbindolare dalla calura e cedere al desiderio di andarsene perché tanto non ne vale la pena. Andiamo a vederle più da vicino. Scopriamo così che Giornico è un paese ricco di storia. Saliamo verso i resti di una fortezza accanto a cui sorge una chiesa, Santa Maria del Castello, da cui si gode una bella vista. Purtroppo la chiesa è chiusa, e torniamo giù. Una signora seduta nel suo giardino ci vede, ci chiama e ci dice che se vogliamo visitare la chiesa può darci la chiave. Ci aveva visti passare, ma non sapeva se ci interessava oppure no.
Così sfidando il caldo e soffiando come cammelli torniamo su, apriamo la porta e ci troviamo di fronte a due piccole navate che terminano in due cappelle, una gotica con un Cristo dagli occhi grandissimi, e una barocca. Scendiamo e facciamo due chiacchiere con la signora. Dietro la porta d’ingresso noto una vecchia macchina da cucire Singer, identica a quella che mia nonna comprò nel 1910 ad Einsiedeln, se ben ricordo. La signora mi raccomanda di tenerla cara.
Ci salutiamo e riprendendo la strada notiamo in basso due ponti antichi a schiena d’asino. Ecco quali sono i ponti che danno il nome al paese! Scopriremo poi che Giornico godeva di una grande agiatezza nel Medioevo grazie alla posizione strategica sulla strada per il Gottardo e che per un certo periodo è stato dominato dai Canonici del Duomo di Milano. Anche gli affreschi del Quattrocento di Santa Maria del Castello sono opera dei Maestri Seregnesi, una bottega di pittori lombardi molto attivi nel Canton Ticino. Insomma, si sente ancora aria di casa.
Risaliamo tutto il Canton Ticino, che ha dei panorami mozzafiato, verso il passo del Gottardo e lì facciamo una seconda sosta per vedere i laghetti e la cappella (chiusa). E’ un posto solenne e spoglio, battuto in continuazione da venti gelidi come tutti i passi alpini.
Scendiamo nel Canton Uri, lungo una gola strettissima. Come hanno fatto i francesi di Napoleone e i russi a darsele di santa ragione in un posto come questo? Solo più avanti il panorama si apre. Ci fermiamo a Fluelen, nei pressi di Altdorf, il paese in cui Guglielmo Tell centrò la famosa mela sulla testa del figlioletto. Per quanto appassionati di storia, ci fermiamo lì per un motivo molto più prosaico. C’è un cartello Zimmer frei che ai nostri occhi stanchi appare irresistibile.
Un signore molto gentile di nome Martin, che parla un tedesco che metterebbe in crisi perfino la cancelliera Merkel, ci mette a disposizione una cameretta tutta foderata in legno in cima a due rampe di scale ripidissime. Spazzoliamo le ultime provviste portate per il picnic di mezzogiorno e usciamo. Ci troviamo sulle rive del Lago dei Quattro Cantoni, l’aria è da alta montagna e il panorama veramente bello. Gironzolando qua e là Fabrizio mi fa notare una funivia che sta scendendo. Non faccio in tempo a vederla. Penso si sia sbagliato, che si tratti del carrello di una teleferica perché i cavi precipitano letteralmente tra le piante e non si vede alcuna stazione d’arrivo. Siccome è poco lontano dalla casa dove ci siamo fermati, andiamo a curiosare e scopriamo che si tratta davvero di una funivia, costituita da una cabina microscopica, trasporto massimo quattro persone, del tutto automatizzata, per cui basta inserire un gettone che si compra non abbiamo capito dove, si salta dentro, si chiudono le porte, e il trabiccolo parte e raggiunge un punto panoramico dove si trova un ristorante.

Foresta Nera Venerdì 9 luglio 2010

Il signor Martin non fornisce la colazione, per cui andiamo a mangiare in un albergo vicino, l’hotel Tourist. Arriva una ricca colazione e al momento di pagare abbiamo qualche difficoltà con l’euro. Sembra che conoscano solo il franco svizzero. Torniamo dal signor Martin che ci augura un sonoro Gufoort, forse intende Gute Fahrt, anche se io ricordo che buon viaggio si dice Gute Reise. Qualunque cosa abbia detto, l’ha detta sorridendo.
Ripartiamo per Lucerna, con breve sosta a Kussnacth per una passeggiata sul lungolago. Meriterebbe uno sguardo più approfondito, da terra o dal battello. Ne passa uno proprio di fronte alle rive su cui approdò Guglielmo Tell in fuga dal prepotente Gessler.
Facciamo una sosta più lunga a Lucerna, per visitare il famoso Kapellbrucke, il ponte ligneo coperto più antico d’Europa bruciato nell’agosto del 1993. E’ stato ricostruito molto bene. Mentre gironzoliamo per la città vediamo una cosa mai vista: un filobus con rimorchio! E’ interessante cercare all’estero le cose strane e compiacersi per la bizzarria degli stranieri. E’ come scattare una foto all’indigeno di Papua. Tuttavia succede di trovarsi dall’altra parte della barricata. A Kussnacht, per esempio, gli euro coi quali volevamo pagare una modesta spesa hanno provocato l’arrivo della capo negozio in soccorso di una imbarazzata cassiera che faticava a fare il cambio con il franco svizzero. Dietro di noi si era formata una coda di cui non abbiamo fortunatamente capito i commenti. E’ stato come se l’indigeno ci avesse chiesto gentilmente in prestito la macchina fotografica e ci avesse tempestato di clic.
Lasciamo Lucerna e facciamo ancora una sosta per pranzare al sacco in un parco molto accogliente nell’antica cittadina di Zofingen. Diamo fondo alla spesa fortunosa di Kussnacht, che comprende anche un ottimo yoghurt di 180 grammi, quantità ignota nei nostri supermercati.
Ripartiamo lasciandoci alle spalle le montagne e raggiungiamo Basilea, la cui periferia merita di essere vista per la sua bruttezza. Le strade che portano al confine con la Germania sono interrotte per lavori ma alla fine riusciamo a trovare un varco.
Viaggiamo fino a Lorrach, poi fino a Todtnau, ai piedi del Feldberg, la montagna più elevata della Foresta Nera, e ci fermiamo. Ci sembra una buona base per visitare il Parco Naturale della Foresta Nera del Sud. Non abbiamo prenotato e andiamo in giro alla ricerca di una camera. Troviamo ospitalità alla Gasthaus-Pension Sonne (Locanda del Sole), una pensioncina spartana ma pulita, frequentata soprattutto da motociclisti. Sono quasi tutti uomini, alti due metri e larghi altrettanto.
La camera ha una bella vista sulla piazza principale, è spaziosa e molto luminosa. Doccia e bagno invece sono fuori, in comune. Andiamo a cenare all’aperto, mentre una banda ci regala il sottofondo musicale. Siamo quasi al centro della piazza, sotto una chiesa con due campanili poderosi che suonano le ore, i quarti, la mezza, i tre quarti, e ci domandiamo che ne sarà di noi questa notte, dato che hanno suonato a distesa anche alle 19.10 e alle 19. 20.
Fabrizio ordina una crepe ai quattro formaggi, io una zuppa di patate che mi viene servita con una temperatura intorno ai cento gradi. Così mentre lui ha finito da un pezzo, io sono ancora lì che soffio al ritmo dei pezzi della banda, compreso un brano dei Ricchi e Poveri e uno di Rick Nelson, Hello Mary Lou, che canticchiamo nella versione di Adriano Celentano. Intanto leggiamo qualche notizia su Todtnau e scopriamo che ha dato i natali all’inventore della permanente.
Terminata la cena, facciamo due passi per vedere com’è fatto il paese e respiriamo il piacere di vivere momento per momento, senza pensare al futuro, nemmeno all’ora dopo. L’ora dopo arriva per conto suo.

Foresta Nera Sabato10 luglio 2010

Questa notte le campane hanno taciuto. Non così invece gli avventori tedeschi dei locali che danno sulla piazza, tanto felici per il bel tempo da scambiare la notte per il giorno. C’era un tipo con una risata modello motore Harley Davidson. Il fatto è che la camera è molto calda e non è possibile tenere le finestre chiuse. La prossima volta cercheremo una pensione che dia su una stradina scialba e anonima.
Andiamo a visitare come tutti i turisti degni di questo nome le cascate di Triberg e Schonach, il paese con l’orologio a cucù più grande del mondo (anche se un altro orologio rivendica questo primato). Le cascate di Triberg meritano la visita, senza aspettarsi una caduta tipo quella delle Marmore o del Toce. Un’altra leggenda è che Triberg sprizzi ovunque scoiattoli che vengono a mangiare le noccioline direttamente dalle mani dei turisti. Sono più interessanti e degni di fede i cartelli esplicativi sulla flora e la fauna del posto. Questa parte della Foresta Nera è quella che ha risentito meno della mano dell’uomo, con delle specie ancora indigene.
Il paesino di Triberg merita una visita per la teoria di negozi che espongono e vendono orologi a cucù, e per non dimenticare che qui è stata elaborata la ricetta originale della celeberrima torta di ciliegie della Foresta nera, la Schwarzwalder Kirschtorte, un trionfo di panna, ciliegie, cioccolato e molto altro.
A Schonach andiamo a visitare per la modica cifra di 1,30 euro il cucù più grande del mondo. E’ la una, per cui la bestia canta poco, ma va bene perché c’è un sole che spacca le pietre. Proseguiamo con una visita all’interno dove il gestore, molto disponibile, spiega come funziona il meccanismo e ci fa vedere il grosso mantice che produce il suono del cucù.
Ripartiamo per visitare Villingen, la cittadina medioevale che può considerarsi il cuore della strada degli orologi a cucù. Lasciamo la macchina accanto a una delle antiche porte e ci tuffiamo nella confusione di una fiera con tanto di spettacoli in piazza, ruota della fortuna e cori di bambini intonatissimi. Pranziamo con un gelato gigante mentre i passanti sguazzano nei canaletti ai bordi della strada. E’ davvero una piccola Friburgo, da non trascurare.
Facendo a gara con il solleone, facciamo sparire il gelato e ripartiamo per scovare un posto sconosciuto ai più, anche a quelli che mettono le indicazioni stradali: Martinkapelle, dove si trovano le sorgenti del Danubio.

La strada che dovevamo seguire passava su una montagna. Sembrava che fosse una di quelle strade che non è possibile non trovare. Penso che tutti conoscano questo genere di strade. Di solito, vi riconducono al punto di partenza, e quando non avviene così, voi vi augurereste che vi avesse condotti al punto di partenza, perché almeno sapreste dove vi trovate.

Per arrivarci ci orientiamo con il sole e abbiamo più fortuna di Harris che aveva cercato di fare altrettanto per raggiungere la cittadina di Todtmoos.
Martinkapelle è un posto che vale sicuramente la pena vedere, nonostante i continui errori di strada.
Le sorgenti del Danubio sono un filo d’acqua su cui nessuno scommetterebbe un centesimo. Fluiscono da un buco nella roccia sorvolato da miriadi di insetti che sembrano zanzare ma che non pungono. Chi è stato a Vienna o a Budapest potrebbe dubitare che questo sia davvero l’inizio del fiume che hanno visto.
Facciamo una passeggiata di trentacinque minuti nella foresta in direzione di una torre da cui si dovrebbero vedere le Alpi e il Giura Svevo. I sentieri sono bellissimi e i tempi di percorrenza sempre indicati. L’ombra è profonda e benvenuta, dato che il caldo non dà tregua. Il cielo è senza nuvole, ma il tempo è afoso e dall’alto della torre non si riescono a vedere le cime che sono indicate accuratamente sul bordo con tutti i loro nomi evocativi, sopra ogni altro Eiger e Jungfrau. Però si vede bene tutta la Foresta Nera meridionale, un tappeto spesso di alberi senza soluzione di continuità. Mi piacerebbe farne una descrizione, ma immagino già la faccia di Jerome.

Potrei descrivere diffusamente la Foresta Nera. Potrei scrivere pagine e pagine sulle sue gole rocciose e sulle sue ridenti vallate, sui suoi pendii coperti di pini, sulle sue cime rocciose (…) ma sono tormentato dal sospetto che voi potreste saltare tutto questo. Se foste abbastanza coscienziosi – o abbastanza cretini – da non farlo, io riuscirei soltanto a trasmettere un’impressione che può essere molto meglio riassunta dalle semplici parole di una modesta guida: “Una regione pittoresca e montuosa, limitata a sud e ad ovest dalla pianura del Reno, verso la quale discendono a precipizio i suoi contrafforti. Dal punto di vista geologico, la sua struttura è costituita soprattutto da arenarie variegate e del granito; le sue cime minori sono invece ricoperte da immense foreste di pini. È fornita di numerosi corsi d’acqua e le sue valli popolose sono fertili e ben coltivate”
.
Al ritorno, è consigliabile seguire la strada che da Furwangen va a Hinterzarten, perché rispecchia fedelmente la descrizione della guida utilizzata da Jerome. Osservando le ombre nette degli abeti sul terreno si capisce perché la chiamano Foresta Nera. Sembrano disegnate con la china.
Una volta tornati a Todtnau ceniamo alla pizzeria Bella Italia, dove seguiamo la partita Germania – Uruguay per i mondali di calcio. Una ragazza italiana del posto tifa Uruguay, dice che i tedeschi sono villani con gli italiani. Io li ho trovati, anche in viaggi precedenti, molto disponibili e cortesi, e credevo che gli anni delle grandi emigrazioni con tutto il loro corollario di xenofobia fossero solo un brutto ricordo. Probabilmente in Italia come in Germania come ovunque, la mamma degli imbecilli è incinta tutti gli anni.

Foresta Nera Domenica 11 luglio 2010

Anche noi, come i Tre uomini a zonzo, abbiamo fatto il proposito di alzarci molto presto, anche se non dobbiamo muoverci in bicicletta.

“Allora avremo fatto un bel pezzo di strada prima che arrivi il caldo”, osserva uno.
“In questo periodo dell’anno, le prime ore del mattino sono la parte più bella della giornata. Non vi pare?”, soggiunge un altro.
“Oh, senza dubbio!”
“Così fresche e deliziose!”
“E quelle mezze luci sono così belle!”
La prima mattina, si mantengono le promesse. La comitiva si raccoglie alle cinque e mezzo. Tutti sono taciturni e un po’ di cattivo umore.
Alla sera, la voce del tentatore si fa sentire:
“Io credo che si partissimo alle sei e mezza in punto, andrebbe bene …”
La voce della virtù protesta, debolmente.
“Sarebbe un venir meno le nostre decisioni ”
Il tentatore ribatte:
“Le decisioni sono state fatte per uomo, non l’uomo per le decisioni – Il diavolo è capace di parafrasare la Scrittura per i suoi scopi – E poi, si disturba tutto l’albergo; pensate ai poveri camerieri”
Così il peccato assume le sembianze della virtù e si dorme fino le sei, spiegando alla propria coscienza, la quale però non ci crede, che si fa così soltanto per altruismo. E ho visto che un altruismo simile si prolunga fino alle sette.

Le tre finestre della nostra camera alla pensione Sonne fanno onore al nome dell’edificio. Bisogna nascondersi sotto i cuscini per sfuggire alla luce abbagliante del sole che entra senza trovare ostacoli e vorrebbe farci alzare ben prima delle sette. Siamo insomma obbligati ad ascoltare la voce della virtù.
Oggi andiamo a vedere Titisee e St. Blasien, il paese di cui era originario Busso Thoma, uno degli ufficiali che partecipò all’attentato contro Adolf Hitler.
Lasciamo la macchina in un parcheggio a pagamento (3 euro) poco lontano dal lago e zaino in spalla partiamo per il giro completo. Il paesino non ha nulla di speciale, ma la camminata lungo la riva è piacevole. Ogni tanto si sentono rumori misteriosi, è il treno che passa praticamente sopra le nostre teste nascosto da una cortina fittissima di alberi. Un’altra cosa che si impara subito è che sui sentieri del Titisee le ruote delle mountain bike fanno un rumore simile allo scroscio della pioggia, per cui non bisogna guardare in alto ma spostarsi di lato.
Lungo il cammino incontriamo una signora desolata per la perdita del suo cane Chivas, forse crede che sia annegato perché fino a poco prima gli faceva rincorrere il classico bastone di legno in acqua.
Chivas invece deve essere uno scioperato e un gran furbone, lo ritroviamo noi molto più avanti, bagnato fradicio ma tutto allegro vicino alla roulotte di un signore che ci dice di essere il padrone. Poco dopo giunge anche la signora, sollevata. In cima al lago, c’è un campeggio e il sentiero continua per chissà dove. Se si vuole fare il giro completo bisogna ritornare dalla strada. Da quel lato le rive sono colonizzate da alberghi e case private e non si passa. Per fortuna c’è il marciapiede e il traffico non è sostenuto.
Il lago Titisee è grazioso ma per George e gli amici è stata addirittura la salvezza.

“Credevo – disse George – che l’idea fosse di fare le salite in treno e le discese in bicicletta”
“Sì – rispose Harris – come regola generale. Ma non c’è un treno per ogni collina nella Foresta Nera”
“Non dimenticate che siamo a venticinque miglia da St. Blasien”
“A quanto?”
“A venticinque miglia, se non un pochino di più”
“Non c’è qualche posticino tra qui e St. Blasien? Che cos’è quale paesino lì sul lago?”
“Bel posticino, quel Titisee, secondo la carta: ci dovrebbe essere aria buona”
“Piuttosto vicino, vero?”
“Cinque miglia”
Coro generale:
“Ci fermiamo a Titisee!”

Noi invece proseguiamo per St. Blasien. La prima cosa che si nota è l’abbazia, con una chiesa neoclassica che è tutta una cupola. L’interno, rotondo, è di un bianco abbagliante, perfino le sedie. Le uniche note di colore sono date dagli altari laterali, dedicate a vari santi con i loro motti. Il paese non è molto grande e contrasta con la grandiosità dell’abbazia. Per sfuggire al caldo andiamo a sederci in un giardinetto impeccabile, dove ci sono più cestini che persone e dove consumiamo due panini proditoriamente imboscati dalla colazione alla pensione Sonne.
Da raccomandare la gelateria sulla strada principale, proprio di fronte alla chiesa, dove fanno un gelato all’amaretto da leccarsi i baffi.
Riprendiamo la macchina e scendiamo verso Todtnau attraverso una delle valli più pittoresche che abbiamo visto finora.
Aspettiamo che sia sceso il sole e ripartiamo per Friburgo prendendo ancora una strada tra le montagne. I paesini sono uno più bello dell’altro e le case tipiche hanno il tetto fatto per metà da pannelli solari. Qui tradizione e modernità stanno insieme senza pestarsi i piedi, anzi, sembrano incoraggiarsi a vicenda. A Munstertal scendiamo per vedere il monastero di san Trudpert. In una chiesa sicuramente più bella di quella di St. Blasien è custodita una Pietà dove il Cristo morto non è in braccio, ma appoggia la testa sulle ginocchia della Madonna, in una posa inconsueta ma commovente.
Scendiamo fino a Staufen, il paese dove sarebbe morto il celebre dottor Faust, chiamato a produrre monete d’oro dai signori del luogo, il cui castello ridotto a rudere domina ancora il paese. Qualcuno dice che le prime cinque lettere di Staufen nascondono l’anagramma di Faust.
Attraverso una campagna tutta coltivata a vigneti raggiungiamo Friburgo e lasciamo la macchina in un parcheggio sotterraneo. Per prima cosa andiamo a vedere il Duomo gotico, che nonostante siano passate le sette è ancora aperto. La guida fornisce informazioni dettagliate, ma cerchiamo di ricordare solo le cose più significative, perché come giustamente dice Jerome

A chi interessa sapere l’altezza di un campanile? Dopo cinque minuti che te l’hanno detto non te lo ricordi più, e se te lo ricordi è segno che non hai nient’altro in testa.

foresta neraHa delle vetrate molto belle, in buona parte ancora risalenti al Medioevo. In fondo alla chiesa c’è una foto che mostra come sia stata ridotta Friburgo durante la seconda guerra mondiale. L’unico edificio che non sia stato sventrato e privato del tetto è proprio il Duomo. Da una vetrata entra una lama di luce che colora con sfumature che vanno dal rosso, al rosa, al viola il pavimento e le colonne, e si ritirano lentamente seguendo il corso del sole al tramonto. La cittadina è un misto tra edifici medioevali e costruzioni moderne, e le strade sono tutte tram e biciclette. Andiamo a mangiare in Franziskanerstrasse, vicino al comune nuovo, che ha sul selciato gli stemmi di città universitarie di tutto il mondo. Oggi è domenica e non si vedono in giro molti studenti, ma sappiamo che ci sono almeno trentamila universitari.
Abbiamo scelto un posto tranquillo, coi tavolini all’aperto. Non capiamo però dove sia il locale vero e proprio. La cameriera sbuca da un negozio di articoli per il presepe che ha come insegna un venditore ambulante di orologi. Una cosa che ormai sappiamo è che raramente portano il pane, ma chi ama le patate può farne a meno e qui con le kartoffeln sono sempre molto generosi. Accanto al nostro tavolo scorre uno dei tanti canaletti con l’acqua pulitissima che si inseguono per tutta Friburgo. Bambini, adulti, e cani di varia taglia ci camminano dentro deliziati. Anche noi, terminata la cena, non resistiamo alla tentazione di fare un pediluvio storico davanti alla Casa delle Balene, una casa dall’aspetto molto eccentrico, che ha ospitato Erasmo da Rotterdam dopo la sua fuga da Basilea. La temperatura dell’acqua è piacevole e il selciato è ancora tanto caldo da asciugarci all’istante.
Lasciamo Friburgo e fino a Mullheim ascoltiamo la radiocronaca della finale tra Spagna e Olanda dove due cronisti invasati continuano ad ululare Vorsicht, Vorsicht!! Gefarh, Gefarh!! (Attenzione, pericolo).
Presumiamo che la strada da Mulheim a Todtnau, pur passando tra le montagne, sia più agevole di quella percorsa all’andata.
Invece si rivela stretta, ripida, immersa in una distesa di boschi che non fanno trapelare alcuna luce. La Foresta Nera, di notte, è veramente nera. Per di più ci sono pochissime abitazioni e quando un paio di fari appaiono dal nulla alle proprie spalle, tornano alla mente tutte le puntate di Criminal minds, repliche comprese. Poi i fari superano sparendo nella notte e quando si emerge a fatica dall’ombra degli alberi ci si può dedicare a pensieri più romantici. Il cielo presenta uno spettacolo curioso. Alle nostre spalle è limpidissimo e Venere brilla come una pietra preziosa; davanti è nuvoloso, tutto fulmini e saette.
Per fortuna non piove. Ogni tanto sembra di entrare in una galleria senza luci ed aiutano a tenere la strada solo gli abbaglianti e i paletti con i catarifrangenti.
Finalmente usciamo all’aperto e superati alcuni passi raggiungiamo Schonau. A quel punto siamo in pianura, vicini a Todtnau, ma sbagliamo strada infilando una serie di paesini. Il problema della segnaletica tedesca è presto detto: è accuratissima, i cartelli accompagnano dappertutto, sono frequenti, il guaio è che spesso e volentieri indicano la meta una sola volta, e nei cartelli seguenti, magari in prossimità di un bivio, ci sono ancora tutti i nomi tranne quello che cerchi tu. Bisogna quindi guardare le città oltre la propria e contare sul fatto che la direzione sia quella. Credo sia un dato della mentalità profondamente filosofica dei tedeschi, e in questo caso la filosofia sta nel non fermarsi idealmente alla meta che ci si è prefissi ma sapere che c’è sempre un oltre.
Arriviamo tardissimo ma in tempo per vedere nella saletta della pensione i festeggiamenti per la Spagna campione del mondo. Festeggiamenti televisivi, perché il padrone della locanda e gli avventori motociclisti hanno un’aria cupa, forse a causa del fatto che è stata la Spagna ad invitare la Germania ad accomodarsi al terzo posto.

12 luglio 2010

Foresta NeraStamattina partenza per il Parco Naturale della Foresta Nera del Nord. L’albergatore ci consiglia alcune località interessanti da vedere e suggerisce di scegliere Freudenstadt come base.
Ci fermiamo lungo la strada a fare benzina. Cinquanta euro e due centesimi. Il benzinaio ci abbuona i due centesimi. Prima di partire ho abbuonato due centesimi al negozio dove vado a fare la spesa. Chissà che nella vita i debiti che qualcuno ha nei tuoi confronti non li saldi un altro.
Sulla strada ci fermiamo a Gutach per visitare il museo all’aperto delle case tipiche. E’ un posto imperdibile ed è anche un’eccezione perché i cartelli sono trilingue e quello che non si capisce in tedesco si spiega col francese o l’inglese (alle casse danno anche una piccola guida in italiano). E’ possibile vedere splendide case rurali d’epoca e ricostruzioni (costo a persona sette euro).

Ci fu una sera in cui, stanchi morti, e lontani da città e paesi, dormimmo in una fattoria della Foresta Nera. Il grande fascino di una casa della Foresta Nera è la sua socievolezza. Le mucche sono nella stanza vicina, i cavalli sono al piano superiore, le oche e le anitre in cucina, mentre i maiali, i bambini e i pulcini si trovano dappertutto. Fate colazione così come in generale è rappresentato il Figlio Prodigo nell’atto di mangiare; uno o due maiali entrano a farvi compagnia; un gruppo di vecchie oche vi criticano, stando sulla porta; dai loro bisbigli e dalla loro espressione disgustata, capite che stanno facendo della maldicenza su di voi.

Pensavo che la promiscuità descritta da Jerome fosse dovuta alla spocchia tipica del cittadino. Ma quasi a dargli ragione, appena pagato alle casse ed essere entrati nella hall, chi ci passa davanti con tutta tranquillità? Una capra. Si aggira serena fra i cartelloni esplicativi fino a quando viene acciuffata e riportata sul prato.
Iniziamo la nostra visita restando sbalorditi davanti alla quantità di legname utilizzato per queste fattorie e per le soluzioni ingegnose trovate per conservare gli alimenti, alloggiare gli animali, fronteggiare il freddo.
I carri (ed immaginiamo anche i cavalli) erano alloggiati al piano superiore e potevano scendere grazie ad una rampa sul retro della casa.

Non saprei dire a che ora si alza, in estate, il contadino della Foresta Nera; a noi sembrò che tutta la notte non facessero altro che alzarsi. E la prima cosa che fa il contadino della Foresta Nera, appena alzato, è di mettersi un paio di grossi zoccoli dalla suola di legno e fare una passeggiatina igienica per la casa. Non appena si sente completamente sveglio, la prima cosa che fa è di andare al piano superiore nella stalla, a svegliare il cavallo. Poi il cavallo, a quanto pare, deve fare anch’esso la sua passeggiatina igienica intorno alla casa; e dopo essersi occupato di questa faccenda, l’uomo scende in cucina e comincia a spaccar legna, e quando ne ha spaccata abbastanza, si sente soddisfatto e comincia a cantare.

L’impressione, girando per queste grandi fattorie, è quella dell’autosufficienza e della capacità di ricavare dalla terra il necessario per mangiare, dormire, vestirsi e fabbricare tutto quello che poteva essere utile, dalle corde, ai carri, alle suppellettili.
C’è una ragazza in costume che segue una scolaresca intenta a sbucciare patate ed accendere il fuoco per il pranzo. Una bimba mi vede mentre allungo foglie tenere alla capra che ci ha accolto all’ingresso e appena mi allontano fa altrettanto.
Entriamo nella “Casa degli anziani”, che non è un ospizio, ma la casetta dove si ritiravano i padroni anziani dopo aver ceduto il governo della fattoria alla nuova generazione, ed infine visitiamo una struttura in cui è stata ricreata un’aula scolastica e una sezione con vecchi giochi, compreso il teatro delle ombre cinesi (che si può usare).
Pranziamo in un ristorante annesso al museo, con una bellissima cetra poggiata alla parete.
Arriviamo a Freudenstadt nel tardo pomeriggio e ci fermiamo per fare un giro sulla piazza, talmente grande che non si capisce dove comincia e dove finisce, fiancheggiata da lunghi portici e dalla chiesa protestante a forma di L. In mezzo, i bambini giocano tra spruzzi d’acqua che scaturiscono dalla pavimentazione e rinfrescano l’aria. Se non avessimo un’età, lo faremmo anche noi. Decidiamo di non fermarci lì, nonostante il consiglio del gestore della Sonne, ma di spostarci più in alto sperando che almeno la sera rinfreschi.
Troviamo un paesino simpatico chiamato Baiersbronn e andando in giro qua e là scopriamo un B&B chiamato Talblick, “vista sulla valle”, e mai nome è stato più meritato perché il colpo d’occhio è notevole.
E’ gestita da due ragazzi olandesi, molto simpatici e disponibili. Lui parla con noi in un misto di inglese e tedesco che fa pensare a Salvatore, il frate poliglotta del Nome della rosa. C’è un silenzio divino che ci fa dimenticare il frastuono della piazza di Todtnau.
Andiamo a cenare all’hotel restaurant Falken, dove per nemmeno 20 euro mangiamo tanto e bene, e scambiamo due parole con un signore di Gubbio emigrato da anni in Germania.

13 luglio 2010

Foresta NeraVerso Baden Baden lungo la Schwarzwaldhochstrasse, la strada alta e panoramica della Foresta Nera. Peccato per l’afa che appanna tutto l’orizzonte e rende il panorama meno gradevole.
Prima sosta al laghetto di Mummelsee, a mille metri di quota, di cui si può fare il giro completo in un quarto d’ora. E’ tanto piccolo quanto bello.
In paragone Baden Baden è un delirio. Se si sbaglia, dovunque si vada, si finisce regolarmente in un tunnel che riporta fuori città e bisogna cominciare da capo. Finalmente troviamo il parcheggio giusto, non lontano dal centro, lasciamo la macchina e ci avviamo lungo la strada passando accanto alla vecchia stazione ferroviaria, molto imponente, dietro la quale si trova la sala dei concerti.
Il centro è molto affollato, come tutte le località turistiche. E’ caratteristico e ben tenuto ma i negozi esibiscono prezzi per i quali ci vorrebbe un portafoglio a mantice – un mantice più grosso di quello del cucù di Schonach.
Andiamo alla Trinkhalle, dove si può bere liberamente l’acqua termale salata tipica di Baden Baden. Esce caldissima e occorre aspettare prima di berla. Sui muri sono rappresentate varie scene. Una ricorda il mito del Re delle ninfe del Mummelsee, che emerge dal lago con le sue figlie nelle notti di luna piena. Le ragazze sono bellissime ed attirano come le sirene i giovanotti che, insensibili agli ammonimenti degli anziani, si buttano nel lago e… ci restano.
Lì accanto, nel parco, c’è la Kurhaus, cioè le terme vere e proprie, con il casinò all’interno. Non riesce difficile pensare al Giocatore di Dostoevskij, afflitto dal demone del gioco d’azzardo patologico. Vorrà dire qualcosa se la prima targa che abbiamo letto uscendo dal parcheggio sotterraneo è stata quella di uno studio di psicoterapia?
Infine percorriamo la famosa Lichtentaler Allee nel parco pubblico, che inizia dal Teatro e fiancheggia il fiume Oos, una passeggiata piacevole che tutte le teste coronate che frequentavano Baden non potevano esimersi dal fare.
E’ una città da vedere, per la storia, per l’arte, per ricordare la storia d’amore fra Clara Schumann e Johannes Brahms, soprattutto per le terme se si desidera il relax, ma in fin dei conti, come dice Jerome

di Baden è necessario dire soltanto che è un luogo di piacere particolarmente simile ad altri luoghi di piacere dello stesso genere

Per tornare, scegliamo la strada delle valli della Foresta Nera, un altro percorso caratteristico. All’imbocco c’è un enorme stabilimento della Mercedes Benz. Prima sosta in un paesino, Gernbach, molto carino con le sue case a graticcio ma un po’ faticoso se non si amano le salite e le discese. Ci fermiamo a mangiare all’aperto in un posto un po’ strano: c’è un locale chiamato Tuana che prepara da mangiare e quello vicino che fornisce il beveraggio, per cui si mangia e si beve allo stesso tavolo ma si paga a due casse diverse. Devono essersi accordati per gestire lo stesso spazio, un angolo tranquillo accanto ad una fontana gotica in arenaria rossa, circondata di fiori e dominata dalla statua di San Giovanni Nepomuceno. Tre bambine del posto entrano ed escono come si farebbe da una fontana romana. Da Tuana servono insalate eccellenti e un Eiskaffee (praticamente un affogato al caffè) buono nonostante il caffè. Andiamo qua e là fotografando le case e saliamo fino alla chiesa cattolica. Dopo una visita, approfittiamo dei bagni pubblici, i primi bagni pubblici profumati della nostra vita! Pulitissimi, con la carta igienica, la carta per asciugarsi le mani, il sapone. Da queste parti ci sono bagni pubblici ovunque, non è necessario andare in un bar, e sono sempre adeguati. Ricordo che anche quello del parcheggio sotterraneo di Baden Baden era molto pulito. Quello che mi colpisce dei bagni della chiesa è che mancano gli specchi pur essendoci il segno sulla parete. Rotti? Rubati? Tolti per non indulgere al peccato di vanità?
Andiamo a sederci sotto un ciliegio ad ammirare il panorama e rinfrancati dal venticello fresco torniamo verso la macchina. Scendendo lungo una strettoia che accorcia il percorso, passiamo sotto i rami di un ciliegio che si protendono da un orto, carichi di frutti.

Un pomeriggio, nel corso di una salita, sbucammo su un altopiano dove forse indugiammo troppo a lungo a mangiare più frutta del necessario: ce n’era tanta in giro e una tale varietà!
“C’è un uomo che sale su per la collina – osservai – e sembra uno del luogo”
“Cammina svelto per la sua età”, osservò Harris.
L’uomo stava effettivamente arrampicandosi su per la collina ad un’andatura notevole. E, per quanto potevamo giudicare data la distanza, sembrava anche che fosse piuttosto allegro, e cantava e gridava a squarciagola, e gesticolava e agitava le braccia.
“Che tipo allegro! – disse Harris – Fa bene guardarlo! Ma perché porta il bastone sulla spalla? Perché non se ne serve come appoggio per la salita?”
“Sapete, non credo sia un bastone”, disse George.
“Che cosa può essere allora?”
“Be’, mi pare che assomigli di più ad un fucile”

Ci cadono delle ciliegie in testa, senza che tentiamo di coglierle, e non dobbiamo darcela a gambe come hanno fatto Jerome e gli amici.
Altra sosta a Forbach, celebrato per il ponte di legno coperto, ma non è nulla di speciale, ci passano anche le macchine e i pedoni devono mettere un piede davanti all’altro lungo un marciapiede di legno strettissimo.
L’ultimo pezzo fino a Baiersbronn è bucolico, un’ampia distesa di prati verdissimi e ben curati.
Avendo mangiato bene a pranzo, ci accontentiamo di una cena a base di yoghurt, mele e naturalmente ciliegie. Passiamo la serata camminando lungo un sentiero che si addentra nel bosco, ma dopo un po’ ci fermiamo perché l’oscurità è impenetrabile. Torniamo indietro e appena trovata una panchina in posizione panoramica, ci sediamo L’ultimo raggio di sole, tra il rosso e il rosa, assomiglia alla stessa lama di luce entrata al tramonto dal finestrone della chiesa di Friburgo. Il buon Dio non lo batte nessuno.
Alle nostre spalle gli abeti bianchi raggiungono un’altezza vertiginosa. Ogni tanto cade una pigna ed è l’unico rumore che si sente. A dieci metri, il sottobosco scompare nel buio. E meno male che questa parte di foresta è meno densa e compatta della parte meridionale! Le piante sono più varie, ci sono radure, parti disboscate forse a causa di frane. Mentre chiacchieriamo sottovoce tra noi (non ci viene da alzare la voce, c’è un silenzio così bello…) scopriamo che il bosco non è affatto addormentato come sembra. C’è un via vai di insetti che ogni tanto ci molestano e un pipistrello che li caccia. Nella valle si accendono tutte le luci, un po’ ovunque, e anche questo fa la differenza con la parte meridionale, nettamente più cupa. Venere tramonta e noi ce ne andiamo a dormire.

 14 luglio 2010

Oggi è impossibile andare da qualche parte che non sia la Foresta Nera, a caccia dell’ombra più profonda. Direzione Klosterreichenbach, lungo un sentiero perfetto per le mountain bike, che si prende appena fuori dal Talblick e che interseca molti altri sentieri.

La strada si divideva in tre. Un cartello di legno tarlato indicava che il sentiero a sinistra conduceva in un posto che non avevamo mai sentito nominare, che non esisteva su nessuna carta. L’altro braccio del cartello che indicava la strada di mezzo era scomparso. La strada a destra, su questo ci trovammo tutti e tre d’accordo, riconduceva evidentemente al villaggio.
“Il vecchio ha detto chiaramente – ci ricordò Harris – proseguiti dritti intorno alla collina”
“Quale collina?”, domandò George giustamente. Avevamo dinanzi una mezza dozzina di colline, alcune più alte, altre più basse.
“Ci ha detto – proseguì Harris – che saremmo arrivati in un bosco”
“Non vi è ragione di dubitarne – commentò George – Qualunque strada scegliamo”.
Effettivamente una fitta boscaglia copriva tutte le colline.
“E ha detto – mormorò Harris – che avremmo raggiunto la vetta in un’ora e mezzo circa”
“A questo punto – osservò George – comincio a non credergli più”All’inizio non si può non credere che tutto andrà bene. C’è un’ottima segnaletica in metallo e ci si rallegra di non aver perso tempo a cercare l’ufficio del turismo. Ma quale carta dei sentieri! Qui, diciamo, è impossibile perdersi.

ParcoMan mano che si procede la certezza comincia a venire meno.
Inspiegabilmente, come già successo per i cartelli stradali, l’elenco delle mete ricompare puntualmente ma privo della propria meta. Dove l’abbiamo lasciata? L’ultimo cartello era dieci metri indietro e non c’era nessun altro sentiero. Si cerca di osservare bene le colline, non sono tutte uguali, ma basta una svolta, un tratto nel fitto del bosco ed ecco che non si riesce più a trovare quella forma ritenuta immutabile nel tempo e nello spazio come il Cervino.
A questo punto si comincia a guardare l’orologio per decidere quando è il caso di girare sui tacchi e tornare al punto di partenza prima di cadere svenuti per la fame. E’ vero che ai margini del sentiero crescono cespugli di fragoline pieni di frutti squisiti, ma per quanto abbondanti, non riempiono lo stomaco. Alla fine perdiamo il conto delle valli percorse, aggirate, scavalcate, avremmo dovuto metterci un’ora e mezza e ce ne abbiamo messe tre, abbiamo dovuto resistere alla tentazione ad ogni bivio pieno di nomi sconosciuti di fare tacche sugli alberi per garantirci il ritorno, ma finalmente arriviamo in vista della meta.
Dissolta la preoccupazione, resta solo il piacere della camminata.
Arriviamo ad un riparo confortevole, una sorta di gazebo di forma ottagonale con tanto di zerbino di ferro per pulirsi i piedi, i vetri che chiudono a nord, un tavolo e le panche. Poco lontano si trova la Klosterquelle, una risorgiva limpidissima in cui andiamo ad immergere i cappelli per affrontare l’ultimo tratto di strada senza alberi.
Raggiunta la chiesta evangelica, entriamo e crolliamo a sedere. Un fresco incredibile. Dietro l’altare c’è un percorso meditativo ispirato al salmo di Davide sul Signore come buon pastore del suo popolo, con tanto di zampillo d’acqua (“ ad acque tranquille mi fa riposare…”).
All’aperto vediamo per la prima volta i monumenti ai caduti delle due guerre mondiali. Forse non c’è, come da noi, la tradizione, ma ci siamo domandati se è un caso che si trovino al massimo lapidi che ricordano i caduti della guerra franco-prussiana del 1870.
Pranziamo all’aperto in un localino tranquillo, poi andiamo a rifornirci d’acqua. La Foresta Nera è ricca di acque e i paesi sono pieni di fontane.
Al ritorno non riprendiamo la stessa strada. Seguiamo le indicazioni per Freudenstadt contando sul fatto che passi per forza da Baiersbronn. Un sentiero piuttosto stretto e ripido ci porta subito in quota e… miracolo! troviamo il punto dove avremmo dovuto deviare per scendere verso il paese, senza fare tutta la pista da mountain bike. Certo che la deviazione è segnata da una freccia azzurra pressoché invisibile.
Ci riposiamo e partiamo per Alpirsbach, sede di un noto birrificio, che pare debba il suo nome all’esclamazione disperata di un monaco che aveva rovesciato tutta la birra nel torrente (All Bier ins Bach! o qualcosa del genere). E’ troppo tardi per visitare il birrificio, ma nonostante siano le nove passate, la chiesa evangelica è ancora aperta. All’ingresso c’è una pubblicità della Caritas. Meno male che qui vanno d’accordo.
Vorremmo fare un giretto per la città, ma scoppia un temporale fragoroso. Nella Foresta Nera, quando piove, l’acqua viene giù a secchiate. Per fortuna passa subito. Proseguiamo per Schiltach, dove occorre andare con la macchina fotografica perché le case a graticcio sono stupende ma non portare il filo a piombo perché si eviterebbe di passarci accanto. Le costruzioni più antiche sono gonfie, storte, non si sa come possano reggersi in piedi. Il paese, a partire dal 1300, ha avuto l’esclusiva del trasporto del legname su zattera, che dal fiume Kinzig giungeva al Reno. Ci sono ancora delle opere che si possono vedere passeggiando lungo la riva.
Torniamo col buio ma come già detto, nel nord la foresta non è così fitta. Dà l’impressione di essere lasciata a se stessa, ci sono anche tanti tronchi secchi, tanti altri abbattuti. Nel sud invece era curatissima, sembrava un orto di conifere.

15 luglio 2010

Foresta castelloPer fortuna stamattina è nuvoloso, per cui si potrà vedere Tubinga senza rischiare un colpo di calore. Lasciamo la Foresta Nera e i gentili gestori del Talblick per visitare qualcosa della Svevia, soprattutto l’alta valle del Danubio. Facciamo una frenata brusca al primo cartello Kirschen. Al di là della Schwarzwalder Kirschtorte, qui le ciliegie sono dolci, buonissime ed è un vero piacere mangiarne a crepapelle.
Il viaggio verso Tubinga è tranquillo. Gli spazi sono aperti e la campagna ben coltivata.
Si vede subito che siamo in una città universitaria, a partire dal parcheggio in cui capitiamo per caso e che si trova vicino ad un collegio dedicato a Leibniz. Camminando tra biblioteche ed istituti, arriviamo alla chiesa riformata di San Giorgio, tutta in restauro. All’interno sono interessanti i banchi del coro, decorati con i mezzi busti dei profeti. Si può salire fino al castello da cui si gode una bella vista e di cui sono interessanti le porte d’ingresso. E’ antico ma rifatto nel 1600. Davanti ad una libreria commento: “Ho imparato una nuova parola, Buchhandlung” (libreria) e poi scopro che in questa libreria ha lavorato Hermann Hesse.
Ci sono ricordi dappertutto di letterati, scienziati e filosofi, (Horderlin, Hegel, Keplero, anche il dottor Alzheimer). Rispetto a Friburgo, Tubinga ha un aspetto imponente e solenne.
Per spostarci verso il Parco dell’alta valle del Danubio dobbiamo passare sotto il castello degli Hohenzollern e decidiamo di fermarci. Lasciamo la macchina nel parcheggio sottostante e trascuriamo la navetta per salire a piedi nel bosco.
Paghiamo il biglietto ed entriamo nel cortile del castello insieme ad un folto gruppo di orchestrali, che scompaiono all’interno di una cappella.
Notiamo a terra delle vaschette dell’acqua per i cani. Ricordiamo che per strada abbiamo sorpassato un veicolo che aveva sul cassone la cuccia del cane con il tetto prominente, proprio come le case tipiche della Foresta Nera. Qui a quanto pare vogliono molto bene agli animali da compagnia.

Non esiste un popolo più gentile d’animo dei tedeschi. La crudeltà verso gli animali o i bambini è quasi sconosciuta nel paese.

I proprietari sono tenuti ad essere rispettosi, ci sono cartelli dappertutto, (infatti non abbiamo mai visto escrementi sui marciapiedi) ma c’è una grande cura per gli animali. Quale vento di pazzia abbia infuriato nel secolo scorso, è un mistero. Che abbia ragione ancora Jerome?

I tedeschi sono brava gente. Tutto sommato, forse il popolo migliore del mondo: un popolo simpatico, altruista, gentile. Sono sicuro che la maggioranza dei tedeschi vada in Paradiso ma non so capire come ci arrivano. Non posso credere che l’anima di ogni singolo tedesco abbia sufficiente iniziativa per volarsene su da solo a bussare alla porta di San Pietro. La mia idea è che vi siano condotti in piccoli gruppi e fatti entrare sotto la custodia di un poliziotto defunto.
Sono naturalmente le scuole le maggiori responsabili dell’indirizzo del temperamento tedesco in questo senso. Il loro eterno insegnamento è il dovere. E’ uno splendido ideale per qualsiasi popolo: ma prima di dedicarvisi, si dovrebbe desiderare di avere una chiara spiegazione su ciò che è questo “dovere”. L’idea tedesca al riguardo pare che sia: “Cieca obbedienza a chiunque vesta un’uniforme”
Carlyle disse dei Prussiani – ed è applicabile a tutta la nazione tedesca – che una delle loro principali virtù è la loro attitudine ad essere addestrati. Il tedesco è stato per tanto tempo il soldato d’Europa che l’istinto militare gli è entrato nel sangue. Il tedesco può guidare gli altri, può essere guidato dagli altri, ma non è capace di guidare se stesso. Il rimedio potrebbe essere di addestrare ogni tedesco come ufficiale e poi metterlo ai propri ordini.

Mentre passeggiamo accanto alle enormi statue dedicate ai principi e poi imperatori di Prussia, abbiamo avuto la sensazione che trasudassero potere perfino dal metallo senza pori. Non avendo optato per la visita guidata, non possiamo entrare al’interno degli edifici. Però ritroviamo gli orchestrali che fanno le prove nella cappella di San Michele. Il direttore si è messo a piedi nudi su una pedana e richiama ora questo ora quello. In un angolo, poco lontani dall’uscita, tre ragazzi coi tromboni provano per loro conto e sorridono e si inchinano quando la gente che passa li applaude.
Leggiamo in una locandina che si tratta di un’orchestra sinfonica giovanile danese.
Ci fermiamo a scrivere qualche cartolina come esigono questi luoghi vetusti e ripartiamo. Ogni due per tre, si incontrano dipinti e affreschi di San Cristoforo, il protettore dei viaggiatori.

… la valle del Danubio, che per le venti miglia comprese tra Tuttlingen e Sigmaringen è forse la più bella vallata della Germania.

Non sappiamo bene dove fermarci, sicuramente in un posto in quota, e decidiamo per Beuron, anche se non sappiamo come sia. Una vera sorpresa! Beuron è una località minuscola circondata da un anfiteatro suggestivo di rocce, con un’abbazia imponente.
Poco lontano, la statua di un pellegrino dal passo lungo e deciso spicca in un prato.
Trascuriamo l’albergo e decidiamo di fermarci in una casetta coperta di vegetazione, dove spunta a fatica il cartello Zimmer da un davanzale fiorito. Ci accoglie una signora molto simpatica di nome Lydia. Saliamo lungo una scala invasa dal profumo di speck fino ad una stanzetta. E’ accogliente, anche se qualche ragno ci fissa dal soffitto. Una doccia veloce ed usciamo vagabondando come nostro solito. Fuori dalla chiesa si sente cantare ed entriamo.
I monaci sono riuniti per Compieta, sono circa una dozzina ma cantano benissimo e tutta la chiesa risuona. I fedeli sono per la maggior parte uomini. Andiamo a magiare al ristorante Il pellicano – anche perché è l’unico – dove fanno dei gelati squisiti.
Poi raggiungiamo un ponte coperto in legno che passa sopra il Danubio. Ora non è più un rigagnolo ma un piccolo fiume tra il marrone e il verde. Ci sono dei pannelli che raccontano la storia del ponte (tutti rigorosamente in tedesco) e alcuni che illustrano una sorta di via dei monasteri lungo il Danubio, dalla Germania all’Ungheria.

 16 luglio 2010

Mentre facciamo colazione in un soggiorno tutto legno e ceramiche, entra a salutarci Franz, il padrone di casa, anche lui alla mano e simpatico.
Iniziamo a scendere lungo la valle del Danubio, visitando un piccolo castello sede dal 1922 di un Ostello della Gioventù. Il castello è visitabile liberamente. Appena a sinistra, c’è un punto panoramico sul Danubio.
Le falesie movimentano i boschi e vediamo la gente arrampicarsi. Altri fanno canoa e il posto dà l’impressione di essere un paradiso per gli sportivi. Si vedono dappertutto uccelli rapaci, che sono il simbolo del Parco.
Le stazioni ferroviarie sono molto caratteristiche e ci dispiace non avere abbastanza tempo da andare su e giù col treno. In fondo alla valle, a Sigmaringen, la temperatura torna a livelli insopportabili. Guardiamo da fuori un altro castello degli Hohenzollern e facciamo un giro per il paese, piccolo ma grazioso con le case a graticcio. La guida non segnala questo posto come meritevole di una visita, ma non è così, vale la pena. Lungo alcune strade ci sono disegnati a terra dei giochi per bambini, tutte variazioni del tema “campana”.
Proseguiamo per il lago di Costanza (Bodense), precisamente per Reichenau, dove agli inizi dell’anno Mille acquistò celebrità Ermanno lo Storpio, un giovane monaco diversamente abile. Era figlio di un nobile, ma nacque con gravi problemi motori e – si credeva – anche mentali, tanto che i genitori decisero di chiuderlo in monastero. Il ragazzino disabile e quasi muto si rivelò un genio, si interessò a tutte le discipline, scrisse trattati, imparò le lingue in uso ai dotti di allora, latino, greco ed arabo, e musicò la Salve Regina.
Reichenau è patrimonio dell’UNESCO. Da non perdere l’abbazia, in stile romanico, il chiostro, l’orto pieno di erbe aromatiche e un giardino non coltivato ma pieno di papaveri, fiordalisi, campanule. Anche all’esterno c’è un campo così, allo stato brado e splendidamente fiorito.
Il guaio è la mancanza d’acqua. L’unica fontana è quella del chiostro ma l’acqua non è potabile.
Reichenau merita sicuramente una visita meno affrettata della nostra, soprattutto per gli amanti dell’arte. Contiamo di tornarci, in fondo i luoghi non previsti nel proprio itinerario sono un valore aggiunto.
A Costanza, per la prima volta, vediamo tanti musicisti di strada. Alcuni giovani cubani stringono la mano a un ragazzo tedesco dicendo “colega, colega”. Ci incuriosisce una panchina di pietra che circonda un albero ed è coperta da una serie invitante di cuscini colorati. Ci avviciniamo e scopriamo che si trova accanto ad una libreria.
Vorremmo andare all’isola di Meinau, ma l’ingresso – 15,90 euro a testa – ci fa desistere, visto che ormai è pomeriggio avanzato. Troviamo una spiaggia libera, piccolissima, dove sederci a mangiare qualcosa. E’ frequentata senza imbarazzi sia da nudisti che da famiglie. In fondo è collocato un barbecue alimentato da una fiamma continua. Un cartello invita a servirsene senza osare accendere fuochi da qualche altra parte. Ci sono anche le docce e con molto senso ecologico uno dei bagnanti va a chiuderne che gocciola.
Appena rientrati a Beuron, si scatena una tempesta in piena regola. Speriamo che il Danubio resti basso.

17 luglio 2010

ForestaOggi si torna a casa. Saluti, baci ed abbracci con i signori Lydia e Franz, e partenza di nuovo per il Bodensee. Non sappiamo come, ma ci perdiamo tra Svizzera, Austria e Germania, e finiamo per fare quasi tutto il giro del lago fino al paese di Rorschach. Per fortuna è un bel posto, vale la pena vederlo. Da lì ci inoltriamo tra le montagne del Canton San Gallo. Il tempo cambia, comincia a fare freddo, le montagne sono stupende ma le nuvole scendono a nasconderle. A Thusis prendiamo la Via Mala che merita assolutamente il suo nome, sembra di essere entrati in uno di quei quadri dell’Ottocento romantico che esaltavano i monti sublimi e al tempo stesso orridi. Il cielo comincia a rischiarare appena superato il Passo dello Spluga. Percorriamo quello spettacolo naturale che è la Valchiavenna e a sera infiliamo le gallerie che da Colico portano a Lecco (ma è sempre un piacere vedere, tra l’una e l’altra, come cambia la vista sul lago). Poi la pianura si allarga davanti a noi con le sue fabbriche e i centri commerciali, le case sempre più vicine e il cielo sempre più stretto.
Si rientra nella quotidianità, per un viaggio diverso. O forse no?

Un bummel lo descriverei come un viaggio, lungo o breve, senza uno scopo: regolato soltanto dalla necessità di tornare, entro un tempo prestabilito, al punto di partenza. A volte si svolge in mezzo a strade affollate, a volte lungo campi e sentieri; a volte può durare poche ore, a volte pochi giorni. Ma lungo o breve, i nostri pensieri sono sempre fissi al tempo che passa. Passando, facciamo un cenno e un sorriso a molte persone; con altre ci fermiamo a chiacchierare un poco; e con pochi facciamo insieme un piccolo tratto di strada. Abbiamo visto tante cose interesanti e spesso ci siamo sentiti un poco stanchi. Ma nel complesso abbiamo passato un periodo piacevole e siamo tristi quando finisce.

Così dice Jerome terminando il racconto delle avventure di Tre uomini a zonzo. Non è difficile cogliere il paragone tra il viaggio e la vita, e la malinconia tipica degli umoristi.
Per noi è un po’ diverso, non abbiamo pensato quasi mai al tempo che passa, anzi, c’è stata una vera e propria “assenza del tempo”, ed abbiamo vissuto in un presente totale. E’ questa assenza di tempo che vorremmo contrabbandare nella vita di tutti i giorni, dentro le agende con gli appuntamenti, la memoria dei computer e dei cellulari.
Non è facile, ma ci proviamo. Grazie per averci letto!

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5 commenti

Paolo 17 Dicembre 2019 - 14:36

La foto in apertura riguarda l’Italia, per la precisione il lago di Carezza, in Alto Adige a pochi passi dal confine con il Trentino (val di Fassa)!! Non so quanto l’APT locale sarebbe contenta se scoprisse che viene spacciato per Germania…!

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Daniele 19 Febbraio 2019 - 11:35

Veramente la foto principale all’inizio dell’articolo mostra il lago di Carezza in Italia.

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Nadia e Fabrizio 18 Febbraio 2015 - 14:58

Grazie per i vostri commenti, siete molto gentili! I complimenti a Gianni li facciamo noi, visto che se ne e’ andato a zonzo in bicicletta, e speriamo di leggere presto il suo diario.
Ciao

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Gianni 18 Febbraio 2015 - 14:57

Complimenti per il viaggio e per il diario. Io ho fatto quel giro in bicicletta e sto scrivendo il diario. Puo’ darsi che ci risentiremo. Auguri.

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Anna e AlElena 18 Febbraio 2015 - 14:56

Ciao, ho letto con piacere il diario! Ho visitato anch’io gran parte dei luoghi descritti e ne sono rimasta affascinata! Mi pare che non abbiate citato gengenbach, piccolo gioiello il cui centro storico onsiderato monumento nazionale! Se vi capita andateci la prox volta! Ci sono luoghi meravigliosi anche lungo la Mosella!

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