Viaggio Lisbona e Sintra

Viaggio Lisbona e Sintra
3 Febbraio 2012
Partiamo con un volo diretto della TAP Milano Linate – Lisbona delle 7.30, il che significa alzarsi alle 4.00 per fare colazione e avere il tempo di liberare la macchina da un tappeto di neve. Fa un freddo polare, speriamo che la nostra vecchia Golf (è del 1995) si faccia onore. Per fortuna parte al primo colpo (d’altra parte, Das auto…) e si comporta bene anche in tangenziale. Entriamo in un parcheggio poco lontano dall’aeroporto, lasciamo l’auto e la navetta ci accompagna all’ingresso. Siamo solo noi, è come se fosse un taxi. Mostriamo i documenti alla sicurezza e passiamo sotto il metal detector. Fabrizio non ha problemi, io invece comincio a suonare. Devono essere i ganci di metallo dei pantaloni. La poliziotta si convince subito che sono innocua e mi lascia andare.
Avendo fatto il check-in on line, ci portiamo subito al cancello. Saliamo a bordo dell’aereo. Fuori ci sono solo buio e nuvole basse. Cominciamo a muoverci ma solo per aspettare che vengano a togliere il ghiaccio dalle ali. Intanto il pilota dice qualcosa prima in portoghese e poi in inglese. Dopo diversi viaggi con differenti compagnie, ho notato che i piloti hanno tutti la stessa voce, tranquilla e suadente. Peccato non si capisca mai quello che dicono, qualunque lingua parlino.
Il filmato su come prepararsi all’ammaraggio, alla mancanza di ossigeno e a rotolare più in fretta possibile dalle uscite di sicurezza ha la stessa cadenza serena e pacata.
Intanto oltre i finestrini si alza un pulviscolo fitto. Stanno ripulendo le ali. Appena finiscono, l’aereo si prepara al decollo. Il pilota sale con una dolcezza degna della sua voce e il profilo della città si inclina. Dopo qualche minuto, usciamo dalle nuvole andando verso una strisca di luce arancione che annuncia l’alba. Nuova lenta virata e puntiamo verso il cielo ancora scuro dell’ovest. Sui monitor possiamo seguire la rotta dell’aereo, la velocità e l’altitudine. Vicino ai diecimila metri ci sono – 64 gradi. E’ curioso notare che la striscia di luce ci insegue senza raggiungerci, fino a quando sorge il sole e anche il cielo ad ovest diventa chiaro. Sotto si aprono i golfi e le insenature liguri, poi il viaggio si svolge sul mare. Passiamo il tempo a leggere, dormicchiare, mangiare lo spuntino che ci servono e consultare il libretto “Parlo portoghese” (si fa per dire). Arrivati sopra la Spagna, non si vede granché a causa delle nubi, poi la visibilità migliora e si scorgono fiumi che creano grandi laghi frastagliati. La prima cosa che notiamo quando inizia l’atterraggio è la torre di Belem, un ricamo avorio nel blu del mare.
Una volta scesi, andiamo alle informazioni pensando di acquistare la Lisboa Card, ma l’impiegata, che parla un buon italiano, ce la consiglia solo se abbiamo intenzione di visitare dei musei. Purtroppo abbiamo a disposizione solo tre giorni, fuori splende il sole, perciò… Decidiamo su due piedi che staremo il più possibile all’aria aperta. Allora ci dice di utilizzare i biglietti dell’aerobus che ci porterà in centro, che valgono tutto il giorno sulla rete di superficie. Con calma, potremo fare un nuovo abbonamento il giorno successivo, presso gli uffici postali o le ricevitorie dove si gioca al lotto. Gli uffici del turismo non fanno questo tipo di servizio.
Compriamo i biglietti per la navetta e andiamo. E’ stracolma, ci troviamo quasi spiaccicati contro la porta di uscita. Il primo quartiere che attraversiamo non è male, ci sono ville e belle costruzioni. In una di queste ha sede l’Ordine dei Medici, più avanti in una villa ancora più bella e appariscente, il Collegio degli Infermieri.
Poi percorriamo una zona piena di edifici squadrati, tutti identici, che si ripetono ossessivamente. Infine entriamo in città seguendo Avenida da Libertade, con le palme allineate lungo lo spartitraffico. La voce registrata informa che la prossima fermata è Rossio, il cuore della città, e ci prepariamo a scendere. Il nostro albergo si chiama Metropole, è un tre stelle degli anni Venti che si trova in questa posizione eccezionale. Non so quanto costi, è un regalo per il compleanno.
La porta d’ingresso è un po’ nascosta dal dehors di un ristorante che se non sbaglio a ricordare si chiama Pic-nic e che sorge vicino al famoso Caffè Nicola. Fa abbastanza a pugni con la solennità della piazza, però in quel momento la luce del sole filtra attraverso le pareti di vetro e crea un lungo arcobaleno proprio sullo zerbino dell’albergo.
L’impiegata della reception ci accoglie con molta gentilezza e sentendo che balbetto quello che posso in portoghese, mi risponde nella stessa lingua, parlando adagio e facendosi capire. La stanza è al quarto piano, arredata in modo semplice ed elegante. Il bagno è molto comodo e grande.
Il balcone invece è stretto tra due grandi putti di marmo, proprio sotto il tamburo dell’albergo. Si vedono bene la pavimentazione bianca e nera della piazza (con i disegni che rappresentano le onde del mare), le due fontane, la statua di Pedro IV che invece dicono essere dell’imperatore Massimiliano d’Austria, fucilato in Messico. In fondo c’è il Teatro nazionale, disegnato dall’italiano Fortunato Lodi (si vede, deve aver pensato alla Scala) e dominata dalla statua di Gil Vicente, il più famoso drammaturgo portoghese. Tutto intorno, anziché i piccioni, ci sono i gabbiani. Dopo esserci rinfrescanti, usciamo. Accanto all’ascensore, un avviso bilingue sconsiglia di salire in caso di incendio e di terremoto.
Andiamo in cerca del tram 28, che la guida informa essere un tram che percorre i quartieri storici. Se anche non ce l’avesse detto la guida, ce ne saremmo resi conto dal numero di turisti che si ammassano alla fermata e premono per salire. Ci troviamo pigiati come merluzzi al mercato e iniziamo la nostra avventura. Alle varie fermate, salgono diverse persone di colore, con le stampelle. Se ne vedi una è un caso, e così anche due o tre, ma alla quinta o sesta, la cosa comincia a sembrare strana. Ci domandiamo se sono fuggiti dall’Angola al tempo della guerra civile, se sono stati feriti o erano malati che non potevano curarsi. Il tram sale e scende prima attraverso il quartiere dell’Alfama poi in quello del Bairro Alto. Tutti si tengono stretti agli appositi sostegni, noi abbiamo guadagnato due posti ma abbiamo continuamente timore che ci caschi addosso qualcuno. Il tram termina la sua corsa nel quartiere dove il poeta Pessoa ha trascorso gli ultimi anni della sua vita. Il conducente fa scendere tutti e va in deposito. Ritorniamo a piedi verso la Chiesa della Estrela, a cui facciamo una breve visita, restando colpiti non solo dalle forme tra il barocco e il neoclassico della facciata e dai due grandi campanili, ma anche da una statua di Sant’Antonio di Padova (e da Lisbona, visto che è nato qui) con un’inaspettata massa di capelli. Decidiamo di andare a visitare il monastero dos Jeronimos e la torre di Belem, prendiamo il primo autobus che scende verso la stazione ferroviaria di Cais do Sodré, e da lì, con un altro autobus, arriviamo alla meta. Il monastero è sicuramente all’altezza della sua fama. Non ci sono molti visitatori, quindi possiamo visitarlo con calma. Nella Chiesa, osserviamo i sarcofagi di Vasco da Gama con un veliero scolpito al centro, e quello di Camoens, con una cetra come si addice al maggior poeta lusitano. Interessante la sagrestia, dove una colonna centrale sostiene la volta come un grande albero. Alle pareti, quadri della vita di san Girolamo. Nel refettorio, una scolaresca è seduta intorno alla maestra che racconta del posto il cui ci troviamo. L’ambiente è piuttosto ampio, bello il soffitto a nervature e gli azulejos con storie bibliche alle pareti.
Nel chiostro, stanno allestendo una rappresentazione per studenti delle superiori, con personaggi in costume. Facciamo una sosta davanti alla tomba di Fernando Pessoa, che riporta gli eteronimi con cui si faceva chiamare e alcuni suoi versi
Riporto quelli firmati Ricardo Reis.
“Per essere grande, sii intero: non esagerare o escludere niente di te.
Sii tutto in ogni cosa. Metti quanto sei nel minimo che fai. Così come in ogni lago la luna brilla intera, perché alta viva.”.
Mentre leggiamo le poesie incise sul cippo, notiamo un signore che cammina avanti e indietro, che passa e ripassa davanti alla tomba non allontanandosi mai troppo. Continueremo a vederlo camminare così a lungo, mentre facciamo il nostro giro per il chiostro. Ricorda il personaggio che nel romanzo di Josè Saramago L’anno della morte di Ricardo Reis torna dal Brasile per rendere omaggio al suo creatore, il defunto Pessoa, e vaga col suo fantasma nelle strade di Lisbona.
Per fortuna è pieno giorno, il sole è alto e i gabbiani fanno il consueto baccano di là dal cornicione e dai pinnacoli del chiostro.
L’ora di pranzo è passata da un pezzo ma troviamo poco lontano, accanto al Planetario e al Museo de Marinha, il ristorante. Entriamo e ordino per me un’insalata e per Fabrizio del baccalà. Il cameriere dice “bolognese”, io ripeto baccalà, lui ripete “bolognese” e alla fine arrivano delle lasagne. Per quanto il mio portoghese sia discutibile, è impossibile che “bacalhau” possa essere confuso con “bolognese”, almeno per rispetto al labiale. Ci viene il sospetto che dovessero far fuori le ultime lasagne. Comunque non abbiamo voglia di questionare con il vocabolario in mano. Mangiamo e riprendiamo il cammino.
Ci spostiamo lungo la riva del Mar de Palha, dopo aver scattato alcune fotografie al monumento dedicato alle scoperte, con Enrico il Navigatore in testa. Il tempo è sempre bello e restiamo per un po’ seduti di fronte alla torre di Belem, su quella che potremmo definire una “panchina letteraria”, dato che sulla pietra sono incise delle poesie. Non essendoci schienale, sono scritte sulla seduta, il che rende la cosa un tantino imbarazzante.
Il sole sta calando e decidiamo di tornare verso il centro. In quel momento, dietro la torre appare un veliero. Sembra un’apparizione. Poco lontano da noi passa una strada molto trafficata, il ponte del XXV aprile domina il Tago, ci sono battelli che vanno e vengono fra le due sponde, eppure è come se per un istante si incontrassero due epoche diverse. Il veliero avanza spedito, con le vele al vento, e non fa il minimo rumore. Oltrepassa la torre e scompare verso la foce che in quel momento è immersa nella luce abbagliante del tramonto. Un’immagine della saudade, una sorta di fado silenzioso Da questo punto è partito Vasco da Gama. Il primo pensiero è che non doveva essere facile per chi restava né per chi partiva.
Il secondo pensiero è che non doveva essere stato facile soprattutto per chi si trovava all’improvviso in casa, ospiti sgraditi, dei conquistatori.
Andiamo in cerca della famosa Antigua Confetaria de Belem, che non è vicina alla torre ma un bel pezzo più in là. Lungo la strada, dedichiamo due scatti alle enormi scritte di protesta contro l’austerità e il precariato che ci ricordano che tutta Europa non se la sta passando bene.
Ci consoliamo con i pasteis. Vale la pena fermarsi in questa pasticceria non solo per i mitici dolci, la cui ricetta resta segreta come al tempo della loro produzione all’interno del monastero. Il posto merita una visita per le sue sale, le vetrine e gli azulejos alle pareti.
Riprendiamo l’autobus e scendiamo poco lontano dalla cattedrale, la Sé, (Sedes episcopales), costruita sulle rovine di una precedente moschea, che all’esterno conserva una bella architettura romanica. E’ aperta anche la chiesa dove si trovano i resti della casa natale di Sant’Antonio di Padova. E’ da poco finita la messa vespertina. L’accesso alla casa è chiuso, ma una signora a cui domando se è possibile visitarla, si adopera per farlo aprire. Scendiamo, noi due e una ragazza di colore, lungo una scala dove fa bella mostra di sé un azulejo che ricorda la visita di Giovanni Paolo II. Hanno conservato anche il suo inginocchiatoio.
La casa di Sant’Antonio è una semplice nicchia nel muro, non è avanzato molto di più, ma l’ambiente è molto raccolto. Da questo punto di vista, ricorda la piccola grotta dove il santo si ritirava presso il convento francescano di Monteluco, vicino Spoleto.
Andiamo a prendere un piccolo bus che ci porta al Castello e da lì facciamo una passeggiata nel quartiere arabo dell’Alfama, fino alla Baixa. La Praça do Comercio è illuminata con discrezione e percorsa da pendolari che si affrettano per imbarcarsi sul traghetto che li porterà sull’altra sponda del Tago, su cui domina l’enorme statua di Cristo.
Continuiamo la nostra passeggiata per il quartiere del Chiado, con una sosta a Brasileira, il ristorante preferito da Pessoa dove la sua statua seduta al tavolino invita a fermarsi per una foto. Vorremmo fermarci a mangiare lì, però il ristorante non è ancora aperto. Il nostro vagabondare ci conduce fino all’elevador de Gloria, una piccola funicolare che ci riporta in basso. Domani vogliamo andare a visitare Sintra, patrimonio mondiale dell’umanità, quindi entriamo nella stazione di Rossio, con la sua bella facciata manuelina, per vedere gli orari dei treni.
Ceniamo appena fuori della stazione, il ristorante si chiama Beira Gare ed è una specie di fast food strapieno, tuttavia il cibo è buono e veniamo serviti bene.
4 febbraio 2012
La notte passa tranquilla. L’albergo non ha i doppi vetri e appena la città si sveglia, il rumore del traffico sale fino a noi. Poco male perché abbiamo il treno presto. Di fronte si allunga, ben illuminata nell’oscurità, la sagoma suggestiva del Castello di San Giorgio. Siamo i primi a fare colazione, interrotti dai cordiali bom dìa del personale che sta arrivando.
La stazione di Rossio è appena girato l’angolo. Ci aspetta una mezzora circa di viaggio attraverso una periferia deprimente, nonostante il nome di una delle fermate, “Benfica”, solleciti i ricordi e lo spirito sportivo. Arrivati alla stazione di Sintra, ci informiamo subito per Cabo da Roca, il punto più occidentale del continente europeo. Prendiamo l’autobus 403, il biglietto costa 4 euro a testa. L’autista sembra caduto dal letto, appare distante e scorbutico. Se non altro parte quasi subito, così non perdiamo tempo. Non ci sono molti passeggeri. Ad una fermata, salgono alcune signore anziane con le borse della spesa. Il percorso è piacevole, immerso nel verde, e ogni tanto incontriamo paesini interessanti. Uno di questi ha persino la pensilina della fermata decorata con gli azulejos.
Il guaio è che la strada è tutta curve e l’autista guida ad una velocità troppo sostenuta. Una delle signore si alza per andare a raggiungere l’amica, l’autobus vira improvvisamente e la signora vola dall’altra parte, battendo un ginocchio a terra e la fronte nel bracciolo di un sedile. Ci lanciamo al soccorso tenendoci con le due mani, perché l’autista non ha capito o se ha capito ha deciso che lì non ci si può fermare. La signora sanguina per una leggera ferita sopra l’occhio. Finalmente l’autista si ferma e viene personalmente a rendersi conto dell’accaduto. Scovo un cerotto nello zaino e lui si offre di medicare la signora. Le chiede se va tutto bene, se può rimettersi alla guida, e avuta risposta affermativa, parte come un indemoniato.
Poco dopo la signora cerca nuovamente di alzarsi. Lanciamo un sonoro “Nou!!” che la inchioda. Si alza solo quando l’autobus rallenta e sosta. Deve essere ancora scioccata, ci ringrazia senza nemmeno alzare la testa.
L’autista invece si è ammorbidito. Si fa un dovere di avvertirci quando arriviamo al Cabo e ci saluta gentilmente.
“Obrigada”, rispondo, ma Fabrizio mi sussurra che non vorrebbe trovarselo davanti, mentre percorre in auto la corsia opposta.
La vista che si gode al Cabo ci fa dimenticare l’accaduto.
“Qui… dove la terra finisce e comincia il mare”
Recitano i versi di Camoens incisi sulla stele che guarda l’oceano.
La fioritura è già iniziata, la vegetazione cresce bassa ma rigogliosa appena interrotta dai sentieri che si allungano sulla scogliera. Facciamo una passeggiata. Per caso, scopro di avere in una tasca laterale dello zaino la crema solare. E’ passata senza che a Linate se ne accorgessero. Adesso mi serve, perché se l’aria è fredda, il sole scotta.
Affacciandoci sull’oceano, osserviamo le onde che si gonfiano e vengono ad urtare gli scogli. Il rombo non è solo quello del vento e delle onde che si infrangono con un ritmo diseguale. Comincia molto prima, quando l’acqua si solleva al largo, ancora senza cresta di schiuma. E’ il respiro dell’oceano
Impossibile non ripensare alle parole che il capitano Nemo rivolge al professor Aronnax, suo ospite-prigioniero a bordo del Nautilus:
“Signor Professore, guardate quest’Oceano e ditemi se non è dotato di una sua vita reale! Non ha le sue collere e le sue tenerezze? Ieri si è addormentato come noi, e stamane eccolo che si risveglia dopo una notte di riposo”
Passiamo accanto al faro, di un bianco abbagliante, ed entriamo nel piccolo ufficio del turismo, dove alcune persone siedono a leggere intorno ad un camino acceso.
Cabo da Roca è uno delle centinaia di siti in tutto il mondo dedicato alla pace attraverso il programma “Sri Chinmoy Blossoms”. La targa posta nel 1999 sul muro esterno recita:
“Cabo da Roca – una spettacolare meraviglia della natura.
Pace Mondiale – una realizzazione umana senza precedenti” e riporta alla fine una frase del maestro spirituale: “La Pace non è l’assenza di guerra. La Pace significa presenza di armonia, amore, soddisfazione e unione”
Una signora che fatica a camminare ci passa vicino, sorretta da una ragazza. Un ragazzo si avvicina con la macchina, scende e l’aiuta a salire. La signora, in spagnolo, dice alla ragazza che è molto fortunata, che persone così belle non si incontrano spesso e che non possono capire quanto bene le stanno facendo. La traduzione che faccio a Fabrizio è telegrafica e di mia invenzione ma credo di averci azzeccato.
Ragazza mia, sposalo subito.
Salgono tutti e tre sull’auto e vanno via.
Poco dopo arriva l’autobus. Il conducente è più moderato del collega e ci riporta a Sintra senza seminare morti e feriti. Ci stiamo abituando a fare i biglietti a bordo. Lo stesso accade sui mezzi pubblici di Lisbona, e nessuno sbuffa o protesta perché il conducente ovviamente perde tempo.
Dalla stazione parte un altro autobus, il 434, che con 10 euro a testa andata e ritorno e possibilità di interrompere il viaggio e prendere il mezzo successivo, ci porta in alto, verso il Palacio Nacional o Palacio da Vila, che con i suoi due grandi camini caratterizza il profilo del paese.
E’ la prima tappa, prima però abbiamo bisogno di fare rifornimento e andiamo a mangiare alla Adega das Caves, un ristorante che si affaccia sulla piazza. Ci sono turisti italiani, spagnoli, francesi… Gli italiani si sforzano di parlare spagnolo o inglese, gli spagnoli e i francesi parlano unicamente la loro lingua. Io insisto col mio portoghese e visto che a Fabrizio non portano più le lasagne al posto del merluzzo, i casi sono due: o sono migliorata io, o hanno fatto i furbi gli altri. Il pranzo è ottimo e termina con due fette imperiali di torta di panna.
Il Palazzo merita una visita attenta e non affrettata. E’ l’unico palazzo reale risalente al Medio Evo che sia giunto all’epoca moderna in buone condizioni.
Quello che colpisce è che nonostante la presenza di stili differenti, l’ambiente mantiene una sostanziale armonia.
Dopo esserci incantanti nelle diverse sale, andiamo a prendere l’autobus che ci porta più in alto, al Castello dei Mori. L’ambiente cambia completamente, siamo in una fortezza che conserva le tracce di un lontano passato e dove gli archeologi sono ancora al lavoro. I merli posti a difesa terminano con una punta piramidale, dunque più massicci dei nostri, guelfi o ghibellini che siano. E’ tutto coperto da un fine muschio verde, il che suscita pensieri di pace
(“… non fanno più rumore dell’erba che cresce, lieta dove non passa l’uomo”, come scriveva Ungaretti).
La vista che si gode andando su e giù per le scale, le torrette, i camminamenti, merita più di una sosta. Non so se i restauri del 1860 siano stati rispettosi della verità storica, tuttavia l’effetto è notevole.
Nel cielo sempre terso spicca una bella luna chiara e all’ombra delle bandiere portoghesi, sventola una bandiera verde con una scritta in arabo.
L’ultima tappa del nostro itinerario dovrebbe essere il Palacio da Pena ma non c’interessa granché. Dobbiamo lo stesso passarci davanti, perché l’autobus sale fino a lì, prima di scendere per una strada diversa da quella percorsa.
Rientrati a Lisbona, andiamo a comprare un biglietto che ci consenta il libero accesso ai mezzi per domani. Poi saliamo al Bairro Alto. Ci sono locali dappertutto, alcuni tanto minuscoli da non capire come si riesca ad entrare. Un ragazzo col grembiule, molto intraprendente, capisce che siamo in cerca di un ristorante, ci acciuffa e dopo varie svolte ci porta in un posto molto carino, con le luci basse e le pareti bordeaux. Il proprietario, quando capisce che siamo italiani, toglie i CD di fado e mette musica italiana. A noi stava bene il fado, comunque apprezziamo la cortesia. Il locale è pieno, ci sono anche delle famiglie oltre a parecchi giovani. Peccato non ricordarsi il nome del posto e per di più aver perso lo scontrino!
5 febbraio 2012
Oggi è il giorno della partenza, ma abbiamo scelto un volo serale, in modo da approfittare dell’intera giornata. Lasciamo i bagagli in custodia alla reception e andiamo a prendere la funicolare da Gloria per visitare la chiesa di San Rocco. Ci siamo solo noi e una coppia di fidanzatini che si scattano foto reciprocamente e sembrano alla loro prima uscita senza i genitori. La conducente invece è seduta al posto di guida e mentre aspetta di partire si guarda intorno con un’aria piuttosto triste e sconfortata.
La chiesa di San Rocco, costruita con l’apporto di architetti italiani, è veramente bella, e vale una visita anche per chi, come noi, non impazzisce per l’arte barocca.
Siamo gli unici visitatori. Fuori, lo stesso deserto, perciò ci sorprende la vista improvvisa di una fila lunghissima di ragazze e ragazzi lungo il marciapiede. La seguiamo e vediamo che termina davanti all’ingresso di un teatro. Pare ci sia un provino.
Passiamo di fianco alla chiesa do Carmo, che mostra in tutta la sua durezza le mura devastate dal terremoto del 1755 e gli archi che non sorreggono più alcuna volta. Per scendere nella Baixa prendiamo l’elevador de Santa Justa, un ascensore in stile liberty che chiamare ascensore è poco. Il panorama che si vede dall’alto è mozzafiato. Raggiungiamo la rua Alfandaga passando accanto al bel portale della chiesa. Di fronte ad un palazzo in bugnato ci fermiamo accanto all’ulivo dove sono state sepolte le ceneri dello scrittore José Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998. Scendiamo vero le rive del Tago, dove è ormeggiata una nave da crociera. E’ davvero enorme, le case sembrano schiacciate dalla sua mole.
In Praça do Comercio prendiamo il metrò per Rossio, poi ci dirigiamo verso la fermata del tram 28 che ci porterà alla terrazza panoramica (miradouro) di Santa Luzia. In giro continua ad esserci poca gente e mi stupisco quando sento un leggero tocco sulle spalle. Mi volto e vedo che ad un paio di metri da me cammina un ragazzo.
Solo mentre salgo sul tram, mi accorgo che lo zaino è aperto. Mi hanno rubato il cappello imbottito – abbastanza orribile per la verità – che ogni tanto metto per proteggermi dal vento. Il ladro non poteva sapere che custodisco soldi e documenti sotto il cappotto. Provo un piacere maligno immaginando quanto debba aver imprecato. Fabrizio nasconde invece a stento la soddisfazione perché dove non è riuscito lui a convincermi a buttare quel cappello, c’è riuscito un ladruncolo di Lisbona.
Sul tram viaggiamo appiccicati al conducente, ma qui è normale e mi diverto a chiacchierare con una signora fino a quando arriva il momento di scendere. Il miradouro permette una bella vista sul quartiere dell’Alfama, sulle mura medievali e sul Mar de Palha. Per salire al Castello prendiamo un piccolo autobus. Non andiamo a visitarlo, ci limitiamo a fare una passeggiata nel quartiere dove tante finestre hanno i panni appesi fuori e scendiamo di nuovo con il bus. Muoversi con i mezzi è davvero piacevole, sono frequenti e ben tenuti. Andiamo con il metrò fino a Oriente, la stazione progettata da Santiago Calatrava. Le stazioni decorate meriterebbero uno sguardo più accurato di quelli che lanciamo noi dai finestrini. All’uscita, sembra di trovarsi in un’altra città, con i palazzi moderni, il centro commerciale Vasco da Gama, gli edifici del Parco do Naçoes. Non avendo simpatia per zoo e acquari, non visitiamo l’Oceanario e facciamo una passeggiata fino al ponte Vasco da Gama. La parte iniziale somiglia ad uno strumento musicale a corda, una sorta di arpa, poi i tiranti scompaiono e il ponte si proietta in mezzo al Tago e sembra non finire mai. Leggiamo sulla guida che è il ponte più lungo d’Europa. Sulla nostra testa scorrono le cabine di una ovovia, praticamente vuote.
Al ritorno ci fermiamo presso un’installazione originale, l’”Angolo dei suoni”, dove sono collocati gong di vario genere che tutti possono suonare. Invece in una cavità ricavata da un particolare tipo di pietra, si può infilare la testa e sia che si parli o si canti, si produce una bellissima eco. Il cartello informa che ha il potere di rilassare e ricreare l’armonia interiore.
Passiamo sotto la lunga fila di bandiere delle nazioni che hanno partecipato all’expo e andiamo a mangiare un boccone in un ristorante del centro commerciale. Ci regalano anche un buono per la prossima volta, ma chissà quando sarà la prossima volta!
Andiamo a cercare la fermata del 44, l’autobus che conduce all’aeroporto. Meglio farlo adesso che non dobbiamo trascinarci dietro i bagagli. In ogni caso, non è semplice, perchè accanto alla stazione vanno e vengono autobus e corriere di tutti i tipi. Chiediamo ad un signore e ci pentiamo subito, perché sembra uno di quei tifosi che Cristiano Militello di “Striscia la Notizia” ferma chiedendo “Ci saluta Ficarra e Picone?” Per fortuna un altro ci viene in soccorso e ci mette sulla buona strada.
Fatti tutti i calcoli, abbiamo ancora un po’ di tempo, per cui riprendiamo la metropolitana e andiamo a visitare il parco Eduardo VII, che sale fino al monumento dedicato al 25 aprile. In Portogallo è festa come da noi, anche se noi abbiamo iniziato nel 1945 e loro nel 1974.
Il verde prosegue con i giardini dedicati ad Amalia Rodriguez.
Scendiamo e riprendiamo il metrò fino a Rossio. Ritirati i bagagli in albergo, torniamo ad Oriente e andiamo a colpo sicuro a prendere il 44.
In aeroporto c’è molta gente e ci mettiamo in fila. Per distrarci, seguiamo su vari monitor un cartone animato che spiega tutta la procedura da seguire. I poliziotti sono disegnati con una grinta che la metà basta, i passeggeri invece con un sorriso abbastanza idiota che sfoggiano in continuazione mentre mostrano il computer, tolgono le chiavi di tasca… Bisogna dire che al controllo i poliziotti non hanno quella grinta, però sono molto pignoli. Ho fatto bene a ricordare di mettere la crema solare nel sacchetto trasparente. Di sicuro a Lisbona non sarebbe passata. Questa volta tocca a Fabrizio suonare come una sirena, ma naturalmente non c’è nulla che non vada, quindi dopo avergli fatto vuotare tutte le tasche, togliere la cintura e le scarpe, si arrendono e lo lasciano passare. Andiamo a bere lui un caffé e io una spremuta d’arancia al bar Harrod’s, spremuta che mi va quasi di traverso appena vedo il conto. Dovevano essere le ultime arance rimaste sulla faccia della terra.
Quando è il nostro turno, ci imbarchiamo.
Il viaggio è molto tranquillo. Ormai è buio e sotto di noi l’oscurità è interrotta solo da grappoli di luci sparsi qua e là. In cielo, splendono Venere e la luna. Sono gli astri dei nomadi, quelli che permettevano di orientarsi durante gli spostamenti notturni con il bestiame.
Sulle Alpi lo spettacolo delle cime e dei pendii coperti da uno strato di neve quasi azzurra è davvero speciale.
Una volta giunti in aeroporto, chiamiamo la navetta per farci portare al parcheggio. Ci aspetta un gelo incredibile, lo stesso che abbiamo lasciato quando siamo partiti. Il conducente della navetta ci fa salire e ci chiede di avere pazienza, perché altri due signori hanno telefonato per farsi venire a prendere.
Dopo aver saltellato sul posto per dieci minuti ed aver sfregato le mani l’una contro l’altra senza risparmio, perde lui la pazienza, sale al posto di guida e schizza via con noi soli, come all’andata.
E come all’andata, la nostra macchina non mostra di aver sofferto queste temperature glaciali e parte subito.
Lungo la tangenziale mi accorgo che la percezione è cambiata. Pur tenendo la stessa velocità della partenza, è come se viaggiassimo più lentamente. Sarà perché non abbiamo più il timore di perdere l’aereo, sarà perché viaggiare insegna che la bellezza sta nello stare fermi, nel presente, mentre ci si muove verso la meta.
A melhor manera de viajar è sentir
Fernando Pessoa
Grazie come sempre per averci letto!
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