Viaggio con la famiglia in Islanda fai da te

In Islanda con famiglia!
Un viaggio è sicuramente una delle esperienze più belle e costruttive da fare nella vita. Viaggiare è proprio una necessità: offre una grande quantità di benefici, apre il cuore e la mente e migliora la nostra capacità di immaginazione. Per non parlare dei tanti benefici per la salute, dal fisico al cervello. Poter viaggiare con le persone che ami è un privilegio che bisogna saper riconoscere e custodire nello scrigno dei propri tesori, essendo grati per la fortuna che ci è stata donata poiché come sosteneva Alphonse de Lamartine: “Non c’è uomo più completo di colui che ha viaggiato, che ha cambiato venti volte la forma del suo pensiero e della sua vita”.
Spero che i miei figli un domani, riguardando le foto e le memorie dei nostri viaggi sapranno riconoscere l’enorme regalo che hanno ricevuto.
GIOVEDÌ 8 AGOSTO 2019 :
Eccolo, è arrivato il giorno tanto atteso, oggi si parte per l’Islanda e anche se non si tratta del primo viaggio lungo e itinerante, non si fa mai l’abitudine all’adrenalina, quella che ti coglie di prima mattina dopo una nottata insonne, un misto tra la paura, l’eccitazione, l’ansia, l’euforia che ti prende allo stomaco e d’un tratto ti sembra di volare pur con la testa che pesa come un macigno.
Ore 9.00 siamo già in macchina con i bagagli caricati, pronti per imboccare l’autostrada in direzione Bologna. L’autostrada è molto trafficata e noi, essendo partiti in anticipo, non abbiamo fretta. La tensione ci tiene silenziosi per tutta la durata del tragitto. Usciamo al casello, imbocchiamo la tangenziale e raggiungiamo l’aeroporto “Marconi”. Alle 11.30 siamo già fuori dal P3; con passo svelto trasciniamo i nostri trolley per entrare in aeroporto. Questa scena l’ho già vista, un déjà vu che mi riempie la testa di sogni e aspettative e il corpo di energie. Mi soffermo un attimo e mi volto indietro verso l’auto perché già so per esperienza che al ritorno, in questo esatto punto, quelle sensazioni e quell’energia faranno luogo ad una velata tristezza, intrisa di vaga malinconia, per qualcosa di bello velocemente terminato. Ogni vacanza andata bene tuttavia cementa sempre più quel senso di appartenenza ad una squadra, la nostra famiglia, con la quale oltre il tran tran quotidiano, le difficoltà, le gioie, gli insuccessi e le conquiste, si ha la fortuna di poter condividere l’esperienza di un viaggio non solo intorno al mondo, ma anche dentro se stessi.
Tempo di raggiungere il tabellone, controllare che il nostro volo non abbia ritardi e fare tappa in bagno, sono già le 12.00. Decidiamo di mangiare un panino prima di depositare i bagagli al check-in previsto per le ore 12.30.
Effettuato il check-in possiamo allentare un po’ la tensione: sono le 13.30, abbiamo già pranzato, siamo già in zona franca in attesa dell’imbarco per Copenhagen, ora non resta che aspettare.
Ore 14.30 l’aereo parte con puntualità svizzera e dopo un morbido atterraggio (il primo che mi sia mai capitato) alle 16.30 siamo di nuovo in aeroporto. Senza uscire dalla zona franca alle 17.15 si riparte, questa volta la destinazione è finale: Reykjavik, aeroporto internazionale di Keflavik. L’arrivo è secondo la tabella di marcia: ore 18.40 ora locale (in Italia 20.40). Il ritiro dei bagagli è immediato e alle 18.55 siamo già nell’area degli arrivi, ad addentare un hot-dog nel primo posto capitato a tiro, visto che la pancia segue ancora l’orologio italiano. Ora bisogna cercare l’impiegato dell’autonoleggio che si aggira in aeroporto con un cartello recante il Logo dell’agenzia. Dopo averlo individuato e avergli mostrato la prenotazione dell’auto, questi ci conduce fuori verso il suo minivan per accompagnarci all’ufficio che dista 5 km dalla nostra posizione.
In quel momento, quando metto il piede fuori da quella porta girevole, ricevo il primo schiaffo dal vento gelido islandese e un brivido mi percorre la schiena. Sebbene gli abitanti locali vadano in giro in jeans e t-shirt, la temperatura esterna è di circa 8 gradi e noi, con felpa e k-way, saltelliamo per il freddo. E pensare che poche ore fa eravamo al P3 del “Marconi” a boccheggiare di caldo, invocando Giove Pluvio affinché mandasse un po’ d’acqua.
Il ragazzo che gestisce la nostra pratica sembra uscito dalla saga cinematografica “Vikings”, capelli rossi e occhi di un azzurro tagliente; sbriga tutti i passaggi burocratici del noleggio con una disinvoltura che mette ancor più in risalto il nostro nervosismo e il nostro impaccio. Con fare beffardo non ci risparmia una frase in perfetto inglese “You have to put the card inside before you type the pin” … già, nell’agitazione che mi sta facendo salire i sudori freddi ho digitato il pin della carta di credito senza aver inserito la carta!
Ma ecco che, entrati nella nostra Dacia Duster 4×4, siamo pronti per affrontare il nostro viaggio “on the road”. Il cielo islandese che alle 20.00 ci saluta con un sole ancora alto e un azzurro da cartolina, le strade che attraversano paesaggi sterminati, il fischio del vento che gioca contro i finestrini dell’auto, ci offrono già un piccolo assaggio di questa terra che ci conquisterà giorno dopo giorno. Non sarà un colpo di fulmine, sarà un innamoramento lento, che dovrà superare le ostilità climatiche e naturali, ma, grazie alla conoscenza a piccole dosi, culminerà in una vera e propria passione che ci farà venire “il mal d’Islanda”.
Arrivati nella via indicata sulla prenotazione, troviamo la nostra Guest House con estrema facilità, poiché il proprietario ci ha sorpreso così:
il mio nome e cognome scritto in caratteri cubitali sopra un foglio A4 attaccato davanti alla porta, impossibile sbagliare!
All’interno troviamo un ambiente pulito e accogliente, con un piccolo angolo cottura sul quale sono appoggiati biscotti e bustine per tè e caffè.
Dopo aver depositato le valigie partiamo per un giro in macchina in esplorazione della vicina Keflavik e non resistiamo ad una passeggiata lungo l’oceano, “bubbolando” di freddo. L’aria è tagliente e l’escursione termica rispetto alle temperature che abbiamo lasciato in Italia si fa sentire, ma i colori hanno tonalità e luminosità diverse, così, nonostante il freddo, non possiamo fare a meno di fare una sosta per perdere lo sguardo in quel blu intenso e riempircene gli occhi.
VENERDÌ 9 AGOSTO 2019 :
Dopo aver consumato una colazione veloce, siamo in ottima forma e in 20 minuti di auto (circa 23 km) raggiungiamo la Bláa lónið, la laguna incastonata in un magnifico campo di lava nero, le cui acque azzurre e lattiginose sono alimentate dalla vicina centrale geotermale, per cui non si tratta di una sorgente naturale. Decidiamo di perlustrare il paesaggio circostante, sembra di essere appena sbarcati sulla luna: un’area sterminata di dune nere è interrotta solamente da qualche pozza d’acqua cristallina al centro e biancastra lungo gli argini. Entriamo nell’adiacente SPA e dalla splendida vetrata osserviamo turisti infreddoliti uscire dagli spogliatoi in costume e gettarsi velocemente nel tepore delle acque fumanti (temperatura circa 39°) ricche di silice. L’acqua arriva all’incirca fino ai fianchi e le persone camminano all’interno con il cellulare in mano, intente a trovare lo scatto giusto per il selfie più sensazionale, alcune nell’altra mano reggono un bicchiere con un cocktail preso nel bar a bordo laguna. Conveniamo che il posto, seppur con un suo fascino e molto suggestivo, sia troppo turistico e poco rappresentativo dell’Islanda reale, il prezzo per entrare è di circa 90 euro a persona e ci sembra troppo elevato, pertanto riprendiamo l’auto diretti alla vicina Grindavìk che dista circa 7 km dalla nostra posizione.
Vik in islandese significa “baia”, molte città qui in Islanda hanno un nome che termina con questa desinenza (i vichinghi erano gli abitanti della baia) e Grindavik è un ridente paesino adagiato su una baia nella parte meridionale dell’isola che si affaccia sull’oceano Atlantico. La giornata è soleggiata e la temperatura sarebbe gradevole se non fosse per il vento costante che ci accompagna per tutta la nostra passeggiata. Incontriamo un signore al quale chiediamo indicazioni per raggiungere il museo consigliato dal libro guida e il signore è ben lieto di fornircele, si dimostra anche incuriosito riguardo alla nostra provenienza e, vedendoci un po’ infreddoliti, non esita a domandarci cosa ci abbia spinto a venire in un luogo così freddo quando in Italia è piena estate.
Entriamo nel museo Kvikan che offre ai visitatori due mostre: una molto curata sull’industria della salatura del pesce e l’altra sull’energia geotermica. Il prezzo è onesto e la visita soddisfa le nostre aspettative. All’interno si trova anche un’area dedicata allo scrittore locale Bergsson. All’uscita la signora della biglietteria ci chiede una recensione e ci offre un buon caffè. Abbiamo capito che il popolo islandese è un gran consumatore di caffè!
E via si riparte: prossima tappa Reykjavik (la baia fumosa; molte pozze geotermali si trovano in città) che raggiungiamo dopo un’ora di auto. Il primo impatto che si riceve venendo qui, non è esattamente quello che ci si aspetta da una capitale: gli spazi tra un’abitazione e l’altra e tra un quartiere e l’altro restano “ariosi” e non si percepisce quella congestione urbanistica un po’ soffocante delle altre città europee. Sembra quasi di trovarsi in tanti villaggi vicini della Svizzera!
Eseguito un rapido check-in in albergo partiamo a piedi alla volta dell’orto botanico. La giornata è deliziosa: sole, cielo cristallino, temperatura gradevole (intorno ai 13 gradi) e non c’è vento. Un signore islandese che incontriamo al parco non disdegna di scambiare due parole con noi e ci conferma che per gli islandesi il bel tempo non è quando non piove, ma quando non soffia il vento. Adesso abbiamo capito il perché qui gli abitanti si muovono tranquillamente anche sotto la pioggerellina e il cielo nuvoloso.
Pranziamo all’interno dell’orto al Floran Bistro dove vengono serviti piatti e zuppe con prodotti da loro coltivati. Il prezzo, per la location e per gli standard islandesi, non è eccessivo se ci si accontenta del piatto del giorno e delle zuppe della casa e si beve acqua servita nella brocca. Essendo la città un po’ dispersiva, riprendiamo la macchina per avvicinarci al centro e parcheggiamo nelle vicinanze del Tjörnin, il placido lago al centro della città, popolato da oltre 40 specie di uccelli migratori e costeggiato da graziosi sentieri lungo i quali godersi una bella passeggiata.
Proseguendo la camminata verso la città vecchia notiamo già da lontano la guglia della imponente Hallgrimskirkja (alta 74,5 metri) che si staglia all’orizzonte dominando lo skyline di Reykjavik. È una chiesa luterana di cemento bianco la cui forma ricorda il getto potente di un geyser; in Islanda l’architettura richiama moltissimo gli aspetti naturali, quasi si volesse confondere con il paesaggio circostante. A me sembrano invece tante canne di un organo disposte in ordine crescente e poi decrescente.
La sua costruzione durò più di 40 anni (1945-1986) e fu terminata molti anni dopo la morte dell’architetto che la progettò. L’interno, in stile neogotico, offre la vista di uno splendido organo con ben 5275 canne. Abbiamo la fortuna di ascoltare un organista all’opera e di riposarci un po’, godendoci la musica soave e un’atmosfera di pace assoluta.
La stanchezza comincia a farsi sentire, la cosa migliore da fare è rientrare in albergo, non prima però di aver consumato una pizza al vicino “Pizzan” che, per essere in Islanda, in fatto di prezzi e di gusto può meritarsi la sufficienza. Questa prima giornata “piena” in Islanda sembra essere stata infinita, il tempo dell’orologio Kronos è stato scandito dal tempo della coscienza Kairos e come da bambini, quando si faceva tutto per la prima volta e il tempo sembrava infinito, anche ora ho la percezione che vacanze durante le quali si vedono luoghi per la prima volta, si ammirano paesaggi inconsueti, si conoscono persone e nuove culture anche attraverso i cibi, sembrano durare in eterno. Il tempo oggi si è fermato!
SABATO 10 AGOSTO 2019 :
Una delle tante cose che apprezzo delle vacanze è quella di poter fare colazione con calma insieme alla mia famiglia, sarà perché nella quotidianità non c’è mai il tempo e al mattino siamo tutti di fretta, sarà che per tradizione siamo abituati a considerare il pranzo il pasto principale, ma più passano gli anni più adoro stare lì nel salone ristorante di un albergo, seduta ad un tavolo con mio marito e i miei due figli e condividere con loro le esperienze del giorno precedente con le emozioni ad esse legate, anticipare la “tabella di marcia” della giornata che ci aspetta con tanto di cartine alla mano, circondati da un tavolo imbandito di ogni “ben di Dio”: è forse l’unico momento di calma prima che cominci la giornata frenetica ad inseguire tappe prefissate con ritmi piuttosto serrati. Ancora un ultimo waffel e poi via: oggi l’intera giornata sarà dedicata a Reykjavik.
Prima tappa è la vicina collina sulla quale è situato il Perlan: degna di nota la sua grande cupola a specchi che ricopre enormi cisterne di acqua geotermale e che regala uno splendido panorama a 360° sulla città. Il museo è a pagamento e noi, poiché alle 11 dobbiamo essere in centro per partecipare al free walking tour della città vecchia, decidiamo di non entrare, ma sarà un grave errore poiché, come scopriremo solo più tardi, si tratta di un’attrazione di valore che è entrata nei nostri must qualora dovessimo rimettere piede su questa terra. La foto scattata all’esterno mostra statue di musicisti sprovvisti di strumenti musicali. Da un’altra foto si può ammirare lo skyline di Reykjavik dall’alto della collina.
Il punto di ritrovo per il tour di Reykjavik è Laekjatorg square vicino ad un chiosco bianco con il tetto rosso che sembra un piccolo trullo. La nostra guida poi ci dirà una piccola curiosità su questo strano edificio: alcuni anni fa in un videogames che recava monumenti simbolo di ogni città del mondo, essendo probabilmente l’unica foto di cui gli ideatori del gioco fossero in possesso, divenne il simbolo dell’Islanda.
Il nostro giro della città vecchia comincia da qui e la guida, attraverso varie soste davanti a statue ed edifici storici della città, ci racconta la storia di questo paese che fu conquistato dai danesi e nei confronti dei quali alcuni nutrono ancora un po’ di rancore. Si accalora quando, davanti alla statua di Jón Sigurðsson, ricorda il personaggio eroico che guidò la campagna per l’indipendenza nazionale.
Non mancano riferimenti a troll ed elfi di cui è intessuta tutta la tradizione popolare islandese e che ancora fanno parte dell’immaginario collettivo infantile.
La nostra passeggiata termina davanti al chiosco che vende hot dog, forse uno dei più rinomati della città, vista la coda di persone che si è creata davanti. Fa molto freddo e siamo quasi assiderati nonostante l’abbigliamento invernale da montagna che ormai è diventato una vera e propria divisa. Il vento persistente e la stanchezza ci costringono perciò a cercare un posto al chiuso, per fare una pausa prima di riprendere autonomamente il giro della città e visitare ciò che ci siamo lasciati “indietro”.
Seguiamo il consiglio della guida e ci fermiamo all’ Icelandic street food per gustare un’ottima zuppa di pesce con la possibilità di fare il bis e anche il tris (all you can eat) accompagnati dalle musiche di sottofondo anni 70 (con grande sorpresa “Tu vo fa l’americano” e “Bella ciao”, chi l’avrebbe mai detto di ascoltarle qua mentre il proprietario ci strizza l’occhio dopo aver intuito la nostra provenienza).
Sotto un vento freddo e sferzante ripartiamo per visitare l’Harpa, la grande struttura sul porto che ospita eventi e concerti inaugurata nel 2011 e la cui architettura formata da scintillanti lastre esagonali ricorda, come molte del resto qui in Islanda, le colonne di basalto di Vik. Proseguendo la passeggiata lungo la costa si raggiunge una curiosa scultura denominata Il viaggiatore del Sole (Sòlfar), quella forse più conosciuta e rappresentativa della città.
Posizionata di fronte al mare, ricorda lo scafo di un dakkar vichingo nelle sue linee essenziali, è realizzata in acciaio inossidabile e oltre a voler celebrare la scoperta stessa dell’Islanda, richiama l’idea di una nave ideale, una nave dei sogni e anche un inno al sole (da cui il nome). Intrinsecamente contiene in sé la promessa di territori da scoprire, un sogno di speranza e di progresso.
Un ultimo sguardo al centro, alla ricerca dei luoghi e dei monumenti che ci siamo tenuti da parte sin dal mattino per una visita più tranquilla, che rispetti i nostri tempi. Percorrendo la strada più famosa della città Laugavegur ci imbattiamo in un giovane vichingo luterano che tenta di “convertirci” al suo credo e ci lascia un opuscolo informativo e l’indirizzo di un sito web per saperne di più. Dopo aver oltrepassato negozi di souvenir e locali caratteristici giungiamo davanti alla Dòmkirkja, la principale cattedrale di Islanda e al Ráðhús, il municipio cittadino le cui colonne di cemento emergono direttamente dalle acque del lago e al cui interno si trova una cartina tridimensionale dell’Islanda. Fuori dal municipio è posizionato il monumento “al burocrate ignoto” ad opera dello scultore Magnus Tomasson.
La giornata è ancora giovane e noi siamo pronti a sfruttarne ogni singolo istante; alle ore 17.30 riprendiamo l’auto per raggiungere Seltjarnarnes, la zona costiera a 5 km a ovest di Reykjavik. Nell’estremità della penisola si trova il faro che è raggiungibile solamente quando c’è la bassa marea. Qui la spiaggia è completamente nera poiché è formata dalla roccia lavica e seguendo un bel sentiero costiero si può passeggiare sperando di fare qualche bell’incontro con qualche sterna codalunga che con le sue ali accarezza l’orizzonte sul fiordo.
Tra escursionisti, ciclisti e amanti del jogging continuiamo a camminare spinti dal vento, che in questa terra è divenuto una costante e che rappresenta una vera forza alla quale bisogna immancabilmente abdicare e dalla quale si deve inesorabilmente lasciarsi trasportare!
Dopo una breve sosta alla catena di supermarket Bonus per fare rifornimento di crackers e biscotti, imbocchiamo la strada di casa, però solamente dopo aver ordinato le pizze al Pizzan (ormai ci siamo affezionati), consumate sul tavolino della nostra camera d’albergo. È più intimo e soprattutto più economico!
DOMENICA 11 AGOSTO 2019:
Ecco giunto di nuovo il momento della colazione, quello in cui ti svegli, realizzi che non devi andare a lavorare e ti coccoli un po’ tra un waffel e un baffo di nutella. Questa mattina però si fa un po’ più in fretta perché si parte per l’Islanda, quella vera, quella delle cascate mozzafiato, dei faraglioni a picco sul mare, dei canyon su cui si aprono strapiombi da brivido, dei geyser e dei sandar di lava. Alle 8.30 siamo già pronti a lasciarci alle spalle Reykjavik, capitale poliedrica e moderna più a nord d’Europa, per lanciarci alla conquista del Circolo d’Oro.
Uscendo dall’area urbana per imboccare la Hringvegur, la strada che percorre ad anello tutta l’isola, percorrendo chilometri e chilometri attraverso paesaggi sconfinati che si perdono a vista d’occhio prima di incrociare con lo sguardo un’abitazione umana, si ha la sensazione che in questa terra l’uomo, molto più che altrove dove, ha dovuto subire la natura che si manifesta in tutta la sua potenza, cercando di adattarsi ad essa; nel resto d’Europa purtroppo succede il contrario.
Prima tappa il parco naturale Thingvellir (letteralmente= pianure dell’assemblea) a 50 km a nord est di Reykjavik, che raggiungiamo in poco meno di un’ora. La temperatura è accettabile, ma il vento al solito non ci abbandona in questa “waste land”, anche se non è riuscito a scoraggiare orde di turisti giunti qui da ogni parte del pianeta per saggiare questa fetta ai confini della terra. E hanno ragione poiché in questo luogo di grande fascino naturale i vichinghi fondarono il primo parlamento democratico del mondo nel 930 d.C.: l’Alpingi. Non è difficile immaginare l’affollarsi di questi abitanti in un punto in cui la natura con tutta la sua maestosa grandezza crea un sipario di bellezza straordinaria a suggello di decisioni importanti che venivano prese sotto le imponenti colonne di basalto nero, davanti alla Logberg, la roccia della legge.
Fa un certo effetto trovarsi qui, dopo più di mille anni, ad abbracciare con lo sguardo lo stesso orizzonte, lo stesso cielo azzurro e tagliente, che fece da scenario ai primi abitanti di questa terra apparentemente ostile. Sarebbe bello poter entrare nella macchina del tempo e “rubare” un po’ di interessanti testimonianze dal passato.
Proprio qui si può vedere il punto di incontro della placca tettonica nordamericana con quella euroasiatica. Il tuffo nel tempo fino all’epoca delle saghe nordiche ci conduce alle spettacolari cascate di Oxarafoss, qui osiamo più del dovuto e ci arrampichiamo per ammirarle da vicino e ascoltare il suono dell’acqua fino a stordirci.
Nell’area del parco raggiungiamo anche la Thingvallakirkja, una delle prime chiese islandesi, risalente all’XI secolo. Nel cimitero adiacente la chiesa riposano Jonas Hallgrimson e Einar Benediksson, i due poeti sostenitori dell’indipendenza del paese.
Facciamo ritorno al centro visitatori, dove consumiamo un pasto veloce seduti vicino ad una allegra e chiassosa brigata di volontari del 112 islandese, che brutta sensazione non capire una parola di quello che dicono! Alle 14.00 si parte di nuovo poiché per giungere a Geysir( (=eruzione) ci aspetta circa un’ora di viaggio lungo una strada in mezzo al nulla.
Qui si trova un’area piena di pozze di acqua bollente, la più famosa è Geysir, quella che ha dato il nome a tutti gli altri, ma che da diverso tempo sembra inattiva. Per la fortuna dei visitatori, proprio accanto si trova il geyser Stokkur, quello più “affidabile”, quello che ogni 7 minuti regala un getto potente di circa 20 metri di acqua calda ricca di silice e vapori, subito risucchiato dall’enorme buco da cui è fuoriuscito. È divertente vedere frotte di turisti che scappano per non essere travolti dalla nube di acqua e vapore che il vento si diverte a sparpagliare qua e là. L’odore di zolfo è molto forte e pervade tutta la zona. Dobbiamo fare uno sforzo per continuare a camminare lungo il percorso, ma alla fine ne vale la pena: la veduta che si gode da un’altura che domina tutta l’area geologica intorno a queste sorgenti termali è veramente senza pari.
Ci soffermiamo ancora un attimo ad ammirare quello spettacolo della natura a lungo studiato sui libri di geografia e per tanto tempo fantasticato, davanti ad una immagine.
La sensazione che si prova è che nessuna fotografia potrà mai cogliere e restituire fedelmente questo spettacolo riservato ad essere abbracciato unicamente con lo sguardo.
Ma sì, facciamo il pieno di tanta natura, sentiamoci piccoli piccoli davanti a tanta armonia, perfezione e potenza, ritroviamo un punto di contatto con essa, grazie a questa terra che ci fa sentire sì desiderati e coccolati, ma pur sempre suoi ospiti, non dimentichiamolo.
Dopo una veloce rinfrescata ai graziosi cottages adiacenti, ripartiamo: Gullfoss, la regina di tutte le cascate islandesi, ci aspetta. Dopo circa 10 minuti la raggiungiamo e lasciamo l’auto nel parcheggio prospicente. Il biglietto da visita di queste cascate non è subito attraente: una fitta nebbiolina accoglie il visitatore e una scalinata abbastanza fangosa e scivolosa lo conduce lentamente in quello che poi si svela essere un vero paradiso in terra. Non ho mai visto le cascate del Niagara di persona, ma ho visionato diversi filmati in proposito e, sebbene come ho già sottolineato foto e filmini non renderanno mai l’effetto reale di certi spettacoli della natura, devo ammettere che queste “cascate d’oro” (gull in islandese, gold in inglese) non abbiamo davvero niente da invidiare alle sorelle d’oltreoceano. Lo spettacolare doppio salto di 32 metri solleva una parete perpendicolare di spruzzi per poi precipitare in uno stretto burrone che si perde a vista d’occhio. Il fragore è fortissimo, il vigore dell’acqua porta un senso di stordimento ed esercita come una calamita una pericolosa attrazione, quella verso il basso, magistralmente descritta da Hoffmann ne “L’uomo della sabbia” quando descrive lo stato d’animo di Nathanael che si trova a guardare in basso dall’alto di una torre.
Rimaniamo lì, con gli occhi incollati e le orecchie incatenate a quel suono quasi fosse un canto di sirene, per un tempo indefinito, fino a quando i brividi di freddo ci costringono a cercare riparo nella macchina e poi nel ristorante vicino a Geysir, confortevole e caldo, dove consumiamo una pizza e una zuppa di verdure. Al solo pensiero che in questo momento qualcuno in Italia si sta gustando un’anguria fresca in riva al mare, mi fa venire freddo.
Di notte il fischio del vento non ci permette di chiudere occhio, un sinistro ululato sembra volerci portar via, avvolgendoci in un vortice, risucchiandoci dentro ad un geyser.
LUNEDÌ 12 AGOSTO 2019:
Che sorpresa trovare nella sala sala ristorante in cui viene servita un’abbondante colazione, un cannocchiale e una grande tavola da scacchi in legno. Conferiscono al luogo un’atmosfera ancora più famigliare, raffinata, intima ed elegante. Mentre facciamo ritorno a piedi ai nostri cottages per recuperare le valigie, lanciamo un’ultima occhiata nostalgica a Geysir che in quell’aria rarefatta e solitaria del mattino è ancora più bella, meno turistica, più vera e autentica.
Reduci dalla nottata infestata dai venti del nord e ancora un po’ assonnati, saliamo in macchina per cercare un po’ di tepore e ripartiamo di nuovo. Decidere di pianificare una vacanza itinerante significa rendere il viaggio in sé parte integrante della vacanza stessa, significa far diventare i sentimenti individuali dei sentimenti collettivi con chi ti accompagna, significa compiere un pellegrinaggio verso la conoscenza di sé e del mondo. Alla fine di un viaggio non si è più la stessa persona: il risultato di incontri con luoghi, persone, tradizioni e culture diverse regala una ricchezza unica. Naturalmente progettare un viaggio di questo tipo richiede tanta passione, quella che per non sottrarre tempo alla famiglia e al lavoro, ti tiene sveglia fino a tardi a leggere e a documentarti attraverso guide turistiche, blog, forum di discussione fino ad un anno prima della partenza. Ciò affinché tutti abbiano il loro posto, affinché tutti vedano rispettate le proprie esigenze e i propri tempi, senza dimenticarsi di osare ad allungare quei tempi aumentando l’asticella della resistenza facendo però attenzione a non spezzarla. Educare al bello di un museo, di una veduta spettacolare in cima ad una torre oppure ad un monte come risultato di una fatica, aiuta nella crescita personale di ognuno. Questa digressione per spiegare che anche i nostri spostamenti in macchina attraverso paesaggi lunari e spettacolari sono diventati parte insostituibile della nostra vacanza; attraversare quei luoghi con la colonna sonora di Freddie Mercury e di Ed Sheran, ci ha di colpo catapultato dentro il film “Highlander”, e non ci saremmo sorpresi di veder sbucare improvvisamente da dietro un sandar Christopher Lambert con una lancia in mano.
Quei 60 minuti di torpore per arrivare a Kerið Crater bastano a ridarci le energie necessarie a percorrere il sentiero lungo la bocca del cratere e a scendere fino al lago vulcanico per sostare davanti a quelle acque cristalline con l’inquietudine di chi pensa che la natura potrebbe farti uno scherzo da un momento all’altro.
E come scenario fantastico non possono mancare le fiabesche cascate di Seljalandsfoss che da una scarpata rocciosa si gettano in un profondo laghetto verde, permettendo ai più temerari di percorrere un sentiero che gira dietro il salto d’acqua. Qui si aggirano turisti con k-way bagnati fradici e macchine fotografie a caccia dello scatto più giusto.
Anche noi ci facciamo prendere la mano e saliamo fino in cima alla scalinata senza però addentrarci fin sotto la cascata e dietro la caduta, lungo il sentiero. Qui siamo quasi sicuri di non bagnarci e di rimanere immuni agli spruzzi d’acqua portati dal vento. Le mie ultime parole famose in risposta ai dubbi sollevati da qualche famigliare sono: “Tranquilli qui è sicuro, non ci bagniamo!”. Il tempo di pronunciare queste parole mentre un turista giapponese aspetta la posa giusta per lo scatto che un’ondata d’acqua ci avvolge e ci travolge dall’alto. Nella foto però sembriamo ancora convinti di essere “waterproof”.
Poco più avanti si trova un altro tesoro nascosto: la cascata di Gljufurarbui che, umile e modesta, precipita in un canyon nascosto. L’immagine è da capogiro, ma c’è troppa fila per entrare attraverso lo stretto pertugio e noi siamo tutti bagnati e iniziamo a sentire freddo. Fortunatamente nel bellissimo prato antistante le cascate il sole dona all’erba un verde brillante e a noi un po’ di tepore.
Possiamo fermarci a mangiare un panino nel chiosco vicino al parcheggio. Il vento si è fermato, ora fa quasi caldo ed è impagabile la vista che si gode da questi tavolini di legno sui quali consumiamo il nostro picnic. In questo momento mentre sono qui seduta con mio marito e i miei figli davanti a questa generosa cascata, penso di non voler desiderare altro dalla vita! P.S. Caro il mio panino al salmone: 1800 isk= circa 15 euro!
Oggi è un vero susseguirsi di cascate, quelle di Skogafoss sono separate dalle prime da meno di 30 km e non saprei veramente stilare un ordine di gradimento. Queste ultime forse sono più scenografiche e regalano ai visitatori giochi di luce e favolosi arcobaleni grazie ai raggi solari che rimbalzano sulle goccioline di acqua, intrappolate nel vapore della caduta. Il luogo, dopo una faticosa salita attraverso una ripida scalinata, regala vedute e scenari che difficilmente si riescono a descrivere con le parole e in modo improprio vengono catturati dagli obiettivi di cellulari e macchine fotografiche che, per quanto sofisticate, non riusciranno mai a rappresentare pienamente cotanta bellezza.
Fa strano pensare a quante cose si riescano a fare in una giornata di vacanza. Kronos scorre veloce, tuttavia appare interminabile, dilatandosi all’interno di una bolla temporale e diventa Kairos, un tempo pieno di significato, un tempo della mente che non riesce più a sottostare a quello cronologico. Sembrerà impossibile, ma ancora abbiamo tempo per fermarci lungo la strada che ci porta a Vik per sostare in prossimità del promontorio roccioso di Dyrholaey, una riserva naturale ricca di avifauna, tra cui la pulcinella di mare.
Il bellissimo panorama che si gode dall’alto però non riesce in alcun modo ad attenuare la delusione di Andrea che con il suo binocolo spera di avvistare qualche puffin in volo o in riposo sui faraglioni, con scarsi risultati. Un po’ stanchi e malinconici ripartiamo in direzione Vik. Sono le 19.00 quando avvistiamo dall’alto della collina, lungo la quale la nostra auto sta scendendo rapida, il piccolo paese incastonato nella baia (vik appunto); l’orologio biologico comincia a farsi sentire, così dopo aver depositato i bagagli in albergo siamo alla ricerca di un posto dove cenare. Troviamo un self service all’interno dell’unico centro commerciale del paese e consumiamo la nostra cena senza grandi pretese. All’esterno è ancora pieno giorno e la bellezza del luogo ci invita a fare due passi verso la spiaggia di finissima sabbia nera, ma il vento e la stanchezza prendono il sopravvento, così ritorniamo all’hotel per rinfrescarci prima di trascorrere la nottata.
MARTEDÌ 13 AGOSTO 2019:
Il primo pensiero del mattino oggi è quello di poter avvistare qualche puffin e, siccome la guida dice che l’orario migliore è al mattino fino alle ore 11 circa poiché le pulcinelle sono indaffarate in operosi andirivieni tra il mare dove sono intente a pescare e i loro nidi dove i piccoli aspettano con i loro becchi aperti. Super carichi di aspettative e con il binocolo in mano, dopo aver consumato una colazione da re ed aver effettuato il check-out (ormai siamo diventati rapidissimi in queste operazioni) partiamo alla volta della vicina Reynisfjara, l’imponente crinale che sovrasta Vik, la baia, orlata da un incredibile gruppo di colonne basaltiche che ricordano le canne di un organo, cadendo a picco su una finissima spiaggia nera.
Si racconta che i due faraglioni fossero due Troll che nell’intento di rubare una nave, sarebbero stati sorpresi dal sole che, come punizione, li avrebbe trasformati in roccia. Il paesaggio da cartolina rende questa spiaggia una delle più belle e caratteristiche del mondo! Ovviamente nessuna foto al mondo potrà mai rendere giustizia a questo paradiso in terra!
Muniti di cannocchiale e tanta pazienza riusciamo ad avvistare le graziose pulcinelle di mare e qualche foca solitaria che ci guarda sorniona dall’oceano prima di rituffarsi nelle sue gelide acque.
Andrea intercetta i nidi dei graziosi uccellini, posizionati proprio al di sopra delle colonne di basalto e decide di rubare qualche scatto dal cannocchiale. L’emozione di vederle così da vicino, quasi da poterle toccare, ci trattiene in questo posto più del dovuto, fino all’ora in cui le pulcinelle si ritirano a riposare nei loro nidi e noi, con una inversione di rotta che non poteva mancare, riprendiamo nuovamente la strada verso Vik.
Una visita la dedichiamo alla chiesa che domina dall’alto il piccolo paese, prima di ripartire verso il parco nazionale di Skaftafell ai piedi del maestoso ghiacciaio Vatnajökull.
Ci aspettano altri 139 km, perciò cerchiamo di non ascoltare l’orologio biologico che fa brontolare la pancia di fame e tiriamo dritto fino alla meta. La raggiungiamo intorno alle 14.00 sotto un cielo grigio e una pioggerellina fitta e sottile, in un’atmosfera rarefatta senza un alito di vento (un vero miracolo!). Nel parcheggio del parco naturale consumiamo “barbonamente” biscotti e crackers acquistati nel centro commerciale di Vik e ci accingiamo a raggiungere il centro visitatori. Qui ci propongono due itinerari: il primo di circa un’ora tra andata e ritorno alle lingue del ghiacciaio e un’altra di un’ora e mezza nella direzione opposta alle cascate Svartifoss, le rinomate cascate nere che tutte le guide turistiche consigliano di vedere sotto il sole di mezzanotte del solstizio d’estate. Dopo una breve consultazione famigliare riteniamo di poterci imbarcare in entrambi gli itinerari proposti, così iniziamo la camminata verso le lingue del ghiacciaio. Passo dopo passo, cespuglio dopo cespuglio quell’aria che fino a prima sembrava tiepida, cede il posto ad un freddo pungente: ci siamo, il ghiacciaio si fa sentire! E si mostra in tutta la sua grandezza, regalando scenari inconsueti di una rara bellezza.
La camminata verso Svartifoss, richiede un po’ più di fatica e un po’ più di pazienza per superare le resistenze di Andrea che rivendica la sua stanchezza e il suo diritto a fermarsi. Però non si è fermato, ha capito che l’animo si fortifica anche con un po’ di sforzo e che la fatica aiuta a crescere. La camminata è un’ottima occasione per trarre da questo episodio una metafora sulla vita e filosofeggiare sulle difficoltà, il non mollare, il resistere. Parla e parla, ecco che la natura ti sorprende così:
E alla fine ammette che ne è valsa la pena!
A questo punto possiamo ripartire per raggiungere l’albergo di Hof che ci ospiterà per questa notte. L’albergo si trova proprio sotto la montagna rocciosa insieme ad una manciata di case sparpagliate nei dintorni di un posto che, a parte il bellissimo panorama, sembra avere davvero poco da offrire. Siamo stanchi e affamati ma nei paraggi non troviamo niente dove poterci fermare per la cena, così riprendiamo la macchina e ritorniamo indietro di 12 km per trovare un locale tipico vichingo dove cucinano degli ottimi hamburgers. Sarà la fame, sarà la stanchezza, sarà che non c’è altro al momento, ma il pasto ci sembra molto gustoso e in un batter d’occhio lasciamo il piatto completamente pulito. A pancia piena si ragiona meglio, possiamo tornare a ridere e a scherzare sulla strada del ritorno.
MERCOLEDÌ 14 AGOSTO 2019:
Nuovo risveglio, nuova colazione, nuova giornata che ci aspetta piena di luoghi magici da vedere e di cose da imparare. Senza indugio ci rechiamo nella sala ristorante del nostro albergo che è in un altro edificio rispetto a quello in cui sono disposte le nostre camere. Nonostante siano ancora solamente poco più delle ore 8.00, la sala pullula di persone intente a consumare la loro colazione prima di partire per nuove avventure. Ci uniamo alla confusione anche noi e cerchiamo di fare il pieno di calorie per avere le energie giuste ad affrontare la giornata. All’uscita allunghiamo di qualche passo il ritorno in camera perché a pochi metri si trova una graziosa chiesetta islandese con il tetto in torba, sul quale spuntano graziose margherite. Mentre osserviamo questo quadretto fiabesco, la nostra attenzione viene catturata da un uccellino che si posa sul ramo di un albero del piccolo cimitero che circonda la chiesa. Non siamo riusciti a fotografarlo, ma il suo colore, rosso vivo, e le sue piccole dimensioni non ce lo hanno fatto classificare in nessuna delle specie che conosciamo, probabilmente è un volatile di queste parti che, schivo e solitario, si nasconde con un rapido volo tra le fronde dell’albero prospicente il cimitero. Oggi la prima tappa del nostro viaggio lungo la Hringvegur è la laguna ghiacciata di Jökulsárlón ai piedi del ghiacciaio più grande d’Europa: sua maestà Vatnajökull.
Prima di raggiungere il parcheggio effettuiamo una sosta in un punto laterale della laguna, decisamente meno turistico, ma più solitario e autentico. L’impressione che si riceve avvicinandosi a questo posto così diverso dagli scenari a cui noi mediterranei siamo abituati, è quella di trovarsi in un luogo collocato al di fuori del tempo e dello spazio, di trovarsi in una bolla rarefatta immersa in un’atmosfera oserei dire lunare. Non mi sorprende che alcuni registi abbiamo deciso di fare di questa location il setting di alcune scene dei loro film come “007 la morte può attendere” oppure “Tomb Rider” o ancora “Batman begins”. Qui sembra di stare alle porte di un regno di ghiaccio, ai confini della Terra.
Anche il vento si è fermato e il silenzio viene interrotto solamente dal rumore dell’acqua mossa da una foca solitaria che fa capolino prima di rituffarsi sorniona nel lago. Il luogo merita una sosta prolungata per dare tempo ai nostri occhi di riempirsi di questi colori, di queste sfumature e di queste profondità per imprimerle nel cuore.
Più turistica è l’angolazione che si gode dal vicino parcheggio. Qui si possono anche acquistare i biglietti per una gita in barca o a bordo di anfibi. È possibile anche attraversare il lago a bordo di un kayak a remi per addentrarsi negli anfratti più solitari e nascosti della laguna. Qui ci è presa la frenesia delle foto: ogni punto regala sfondi e colori diversi, ogni momento luci e ombre particolari.
Dopo esserci fermati qui per un tempo indefinito, decidiamo di seguire il percorso che fanno gli iceberg per uscire dalla laguna, imboccare il fiume Jokulsa e spostarsi verso l’Atlantico.
Sorprendentemente troviamo turisti francesi intenti a rivestirsi dopo essere usciti da un bagno “rinfrescante” nell’oceano quasi a voler sfidare le foche, regine incontrastate di questo regno acquatico.
A malincuore lasciamo questo posto così magnetico e ci rimettiamo in viaggio verso Höfn; alle 16.30 siamo all’Hotel Edda e con grande stupore scopriamo di avere le camere con vista: una sul porto (Höfn significa “porto”) e una sul fiordo.
Nonostante il freddo e la stanchezza, non possiamo lasciarci sfuggire una perlustrazione di questo piccolo paese che si affaccia sull’Atlantico e una passeggiata lungo il fiordo dal quale ammirare il Vatnajökull e la sua confraternita di ghiacciai. Questa panchina sull’oceano è la nostra postazione per ammirare le cime innevate delle montagne che si confondono con le nuvole. Qui i pensieri sono liberi di rincorrersi spinti dal vento e l’immaginazione ha spazio per viaggiare.
Il nostro giro prosegue sul promontorio di Osland seguendo un sentiero che costeggia le paludi e la laguna. Domina l’altura il monumento al marinaio, l’Oslandsvegur.
Purtroppo ciò che è scritto sulla locandina informativa è esclusivamente scritto in islandese, quindi proviamo a dare delle spiegazioni a questo monumento un po’ fuori dai canoni standard: Andrea è convinto che i tre pilastri assomiglino alla prua delle navi vichinghe. Arianna sostiene che la statua dei due busti incrociati rappresenti due marinai che sono l’uno le braccia dell’altro, incrociate come i loro destini in mare. Io non so spiegare questo monumento, ho solo la sensazione del forte legame che unisce questi popoli al mare. In un certo senso anche noi, popoli mediterranei, abbiamo fatto del mare l’ombelico del nostro mondo e questo è un elemento di unione tra civiltà tanto diverse, quanto simili i questo legame.
Intanto si sono fatte le 19.00, ed è l’ora di pensare alla cena. Questa volta seguiamo i suggerimenti di “Lonely Planet” e optiamo per il vicino Hafnarbuðin, una favolosa tavola calda che propone una squisita humarloka, la baguette agli scampi migliore di tutta l’Islanda! Torniamo in albergo a rilassarci e ad aspettare il tramonto che in questo periodo dell’estate qui arriva tardissimo, alle 23 circa.
GIOVEDÌ 15 AGOSTO 2019:
Oggi in Italia ricorre il Ferragosto che generalmente si festeggia con picnic al mare o in montagna e si conclude con una bella fetta di anguria, gustata sotto l’ombrellone o sotto una pianta, a seconda del posto in cui ci si trova. Qui a Höfn ci svegliamo sotto un cielo terso e un sole già alto all’orizzonte, non soffia il vento ed è quindi una bellissima giornata anche se si esce con il giaccone e lo scaldacollo. Seguendo i suggerimenti che ci fornisce la gentile signora della reception siamo tutti d’accordo nel pensare di trascorrere una giornata al promontorio Stokksnes alle pendici del Vestrahorn, un monte dal fascino cupo e misterioso. Appena arriviamo al pittoresco Viking Cafe,un bel locale in cui consumare un buon waffel e bere un buon caffè, siamo subito colti dalla sensazione di trovarci in un ambiente selvaggio e libero che sembra uscito da una cartolina d’altri tempi.
La proprietaria del locale ci fornisce anche i biglietti per esplorare la sua splendida proprietà: prima tappa è la scenografica spiaggia di sabbia nera, cui fa da cornice il Vestrahorn, regalando superbe inquadrature. Le nuvole che lo avvolgono sembrano un getto di fumo che fuoriesce da un vulcano in eruzione e avvolgono la cima in un alone di divino mistero.
Poco distante, in una grande baia, si trova un pittoresco villaggio vichingo, magistralmente ricostruito da un regista islandese nel 2009, per ospitare il set cinematografico di Viking, un film dalla lunga gestazione.
Sembra davvero di essere tornati indietro di mille anni e osservando l’oceano dalla baia ci si aspetta di vedere apparire all’orizzonte la sagoma di un drakkar vichingo. Il sole di oggi illumina questo luogo, donandogli un effetto cromatico inimitabile: il verde brillante del prato si staglia sopra uno sfondo blu del mare che digrada verso l’azzurro del cielo senza una separazione all’orizzonte. Siamo euforici durante l’esplorazione di questo villaggio, Arianna scatta fotografie ad ogni angolo del paesaggio e Andrea sale sul fortino vichingo per dominare dall’alto tutto il panorama, fingendosi un “uomo della baia” messo lì di vedetta per avvistare le navi nemiche in arrivo.
È indubbiamente un posto meraviglioso e siamo grati alla signora della reception per avercelo consigliato. Qualche decina di metri più avanti, un sentiero ci conduce verso un avamposto di costa alta e rocciosa. Da qui lo sguardo si perde all’orizzonte alla ricerca di qualche foca spiaggiata, intenta a godersi il sole di questa giornata.
La giornata è talmente insolita per il clima islandese che merita di essere goduta fino in fondo, consumando un pranzo all’aria aperta, seduti in un tipico tavolino di montagna, sotto il tiepido sole e il cielo terso e limpido, fuori dal Viking Cafe. Non sembra proprio di essere a un passo dalla Groenlandia mentre siamo qui seduti a crogiolarci al sole, ipnotizzati a seguire il volo di un insetto simile ad un’ape (ebbene sì un insetto, chi lo avrebbe mai detto?) che danza indaffarato tra bellissimi fiori viola.
Ci piacerebbe indugiare ancora un po’, ma la frenesia di vedere luoghi per noi nuovi e ancora inesplorati prende il sopravvento. Riprendiamo così la strada che fa ritorno a Höfn per poi imboccare la strada sterrata che ci porta allo Hoffellsjökull, una delle diverse lingue glaciali del Vatnajökull, da cui si staccano blocchi che finiscono in un piccolo lago glaciale. Queste zone non sono molto conosciute ai turisti e noi sorprendentemente troviamo un piccolo paradiso glaciale tutto per noi.
L’area circostante è attraversata da magnifici sentieri che attraversano stranamente una fitta e rigogliosa vegetazione popolata da insetti e regalano vedute indimenticabili.
Qui Arianna e Andrea scoprono un piccolo buco all’interno di una palude di fango e si accorgono che inghiotte qualsiasi cosa, anche sassi di grandi dimensioni: una vera e propria sabbia mobile!
Anche questa giornata, piena di stimoli e di nuove esperienze sta volgendo al termine e noi siamo felici mentre in macchina ritorniamo verso il nostro albergo a Höfn perché questa terra non finisce mai di stupirci e anche il tragitto in macchina, ancora illuminato dal sole sebbene siano quasi le 19.00, ci regala una visuale panoramica con un’angolazione e una luce diverse, facendoci sentire il suo respiro, il suo ritmo, che diventa il nostro respiro, il nostro ritmo. La cena ovviamente ricade su una scelta già testata, cioè il caratteristico e pittoresco Hafnarbuðin.
Andare a dormire qui quando fuori è ancor giorno pieno sembra un po’ come sprecare il tempo, ma siamo umani e alla fine la stanchezza chiude quegli occhi che ancora sono vaghi di quei tramonti, di quegli orizzonti e di quei confini sconfinati. Buonanotte.
VENERDÌ 16 AGOSTO 2019:
Sicuramente la scelta di oggi, per nostra tradizione e per la stagione in cui siamo, è a dir poco insolita e contro corrente: escursione sul ghiacciaio del Vatnajökull. Sveglia alle 6.30, colazione alle 7.00, partenza alle 7.50: alle 9.00 in punto dobbiamo essere ad Hali, luogo di incontro dell’agenzia locale Glacial Adventure, per cui ci aspetta un’ora circa di viaggio.
Nonostante il nostro abbigliamento da alta montagna, quando giungiamo sul luogo la nostra guida, un simpatico islandese sulla trentina, ci equipaggia di imbragatura e ramponi per aggredire il terreno scivoloso del ghiacciaio. Il nostro gruppo è formato anche da una coppia di belgi e da una coppia di tedeschi, tutti giovani e attrezzati per la scalata. Saliamo in un furgone 4×4 che, dopo un tragitto infinito su una strada sterrata piena di sassi e buche, ci conduce ai piedi di una grande lingua ghiacciata. Ciò che mi colpisce subito appena scendo dal van è il maestoso silenzio che domina l’intera zona e il ghiacciaio sullo sfondo adagiato sulle sue lingue bianche e nere sembra la statua gigante di un Buddha. Ci siamo solamente noi e in queste situazioni si avverte la precarietà della vita umana, si medita sul rapporto uomo natura e si riveste quest’ultima ora del ruolo di dolce madre, ora quello di matrigna e, a seconda dei momenti, ora ci si sente accolti, ora tormentati da un clima avverso e inospitale. È un legame di amore e odio, perfettamente descritto da Leopardi nelle sue “Operette morali” nelle quali si dipinge la natura come la personificazione delle forze, dei fenomeni, la madre buona che ha dotato il genere umano di immaginazione, ma che allo stesso tempo ne è causa di sofferenze.
Seguiamo le indicazioni rapide e concise di Oscar, il nome inglese della nostra guida, per infilare i ramponi sotto le scarpe e dopo aver oltrepassato un fiume camminando in fila indiana sopra un ponticello di legno, cominciamo la scalata del ghiacciaio. Nonostante siamo circondati da neve e da ghiacci, l’assenza di vento rende gradevole la nostra permanenza qui. La superficie è dura e scivolosa, ricoperta da cenere vulcanica.
Raggiungiamo la parte più alta e ci fermiamo perché Oscar vuole mostrarci alcune particolarità di questo luogo: picconiamo cumuli neri che si ammucchiano in vari punti del ghiacciaio ed è emozionante scoprire che sotto la cenere risplende un ghiaccio purissimo, trasparente e iridescente: uno spettacolo per gli occhi vedere un piccolo arcobaleno intrappolato dentro ad un pezzo di ghiaccio.
Andrea si fa prendere la mano e inizia a picconare cumuli neri qua e là, per questo motivo viene ribattezzato “the boy who likes to chop a lot” e gli viene pure proposto di inviare un curriculum all’agenzia per aiutare a picconare il ghiaccio durante la messa in sicurezza delle cavità ghiacciate che si creano sul Vatnajökull. Non si sa mai, intanto ha scoperto che picconare è un’attività catartica e distensiva, allontana lo stress e mantiene in forma!
Riusciamo anche a bere l’acqua pura dai numerosi rivoli che si formano dallo scioglimento dei ghiacci e ci addentriamo a turno dentro una caverna di ghiaccio. Qui i colori sono veramente irreali: il bianco, l’azzurro, il viola e l’indaco del cielo sembrano essere stati catturati nel profondo di questa cavità ghiacciata, rendendola un luogo magico e surreale.
Le sensazioni che si provano a stretto contatto con questa natura così potente e ancora incontaminata sono difficili da spiegare: ci si sente piccoli, un po’ indifesi, ma allo stesso tempo fortunati e felici di provare esperienze ad un alto impatto sensoriale ed emotivo. Sembra un po’ di entrare nelle viscere della terra alla scoperta dell’arcano, ai confini tra la realtà e la fantasia di un mondo fantastico, immobile nella sua maestosità e magnetico nel suo silenzio; immenso nelle sue cavità e nei suoi anfratti, inquietante nella sua gelida carezza.
È stimolante la sfida tra l’uomo e la natura e il sorriso di Arianna la dice lunga sul brivido di freddo e di paura che si prova calandosi dentro la pancia del Vatnajokull.
Mentre facciamo ritorno al van, il rumore dei ramponi scandisce i nostri passi e dà un ritmo ai nostri pensieri; pensieri immensi come il cielo sopra di noi, pensieri che non riescono ad essere ingabbiati dalle parole, pensieri che reclamano tempo per essere assimilati nella sfera dei ricordi. Noi cerchiamo di tenerceli stretti il più possibile e di scattare fotografie anche nella nostra memoria, di ascoltare il silenzio e i suoni, di inalare i profumi e di scrivere, perché così tra qualche tempo queste foto riaccenderanno in futuro anche gli stati d’animo ad esse legate e allora sarà come riviverle ripercorrendole nella memoria. Restando in tema ghiacci, sulla via del ritorno facciamo nuovamente sosta a Jökulsárlón, per consumare un fish and chips con la veduta della laguna e delle placide foche.
Pochi chilometri dopo però non possiamo mancare il meno turistico, ma ugualmente affascinante Fjallsárlón. Il vento sferzante e persistente non ci fa desistere da una sosta per perlustrare questo luogo e ne restiamo letteralmente ammaliati, catturati dentro questa cartolina paesaggistica di una bellezza tale che non ci si sazia mai di ammirare.
Il nostro viaggio prosegue sulla via del ritorno e verso le 16.00 arriviamo a Geirland dove alloggeremo per la notte. La giornata però è ancora giovane, così dopo una rapida rinfrescata e aver lasciato i bagagli andiamo ad esplorare la zona vicina a Kirkjubæjarklaustur, che ha molto da offrire.
Prima fermata, a pochi metri dal nostro albergo, sono le cascate di Stjórnarfoss. Le ho ribattezzate “le nostre cascate private”, infatti siamo solo noi in questo angolo di paradiso nascosto ai turisti e un po’ fuori mano rispetto alla strada principale e ne approfittiamo per perderci un po’ ascoltando lo scrosciare fragoroso delle acque, seguendo il volo degli uccelli e osservando i sassi e le pietre disposti dalla mano sapiente della natura in questo incanto.
Qui vicino, in un prato verde brillante baciato dal sole, ci sono alcune tende e una piccola zona camping, discreta e silenziosa, in perfetta armonia con il paesaggio bucolico popolato da placide pecore che brucano sui pendii delle colline.
È trascorsa circa un’ora o forse più e tanto ancora ci aspetta: Fjaðrárgljúfur, il canyon scavato dal fiume Fjaðrá più di due milioni di anni fa. Per cogliere la meraviglia di questo luogo consiglio di vedere il video della canzone “I’ll show you” che Justin Bieber ha girato in Islanda. Pur non essendo una sua fan e non apprezzando particolarmente le sue canzoni, devo ammettere che le riprese rendono giustizia a questi posti che forse un tempo dovevano essere la dimora delle divinità.
Esausti ma pienamente soddisfatti torniamo in albergo e ceniamo della caratteristica sala centrale, gustando cibo islandese e lasciandoci viziare da dolci serviti in composizioni che attraverso gli occhi stuzzicano il palato. Rientriamo nel nostro cottage caldo e confortevole e ci abbandoniamo felici tra le braccia di Morfeo.
SABATO 17 AGOSTO 2019:
Oggi ci svegliamo con la consapevolezza che sarà l’ultimo giorno pieno da poter trascorrere in questa terra che oramai ci ha letteralmente conquistati.
La colazione è ricca e abbondante e la vetrata del salone lascia spazio ad un panorama veramente suggestivo. Impacchettiamo nuovamente le valigie e ripartiamo.
Intenti a non lasciarci sfuggire niente nella strada del ritorno, ci fermiamo subito dopo pochi metri dal nostro albergo per visitare il sito di kirkjugolf, ciò che si pensava restasse di un’antica chiesa (da qui il nome che ricorda il tedesco kirche) ed emerge dal terreno nella sua pianta formata da rocce basaltiche di forma esagonale disposte a nido d’ape.; in realtà ancora una volta è opera della natura.
La prossima sosta sarà tra circa 2 ore di viaggio, così ci mettiamo comodi ad ascoltare la musica e a fotografare con gli occhi della mente tutti i paesaggi che attraversiamo.
Finalmente dopo aver oltrepassato il paese di Hvolsvöllur raggiungiamo facilmente il LAVA- Iceland Volcano and Earthquake Centre completo di self service, nel quale ci fermiamo per pranzo, negozio di souvenir e cinema con proiezione di filmati sull’attività sismica e vulcanica d’Islanda. Per mancanza di tempo ci perdiamo il simulatore di terremoti, un modello alto 12 metri del nucleo vulcanico dell’isola.
Un’altra tappa nel tardo pomeriggio, ore 17.30 circa, alle scogliere Krisuvikurberg uscendo dalla Hringvegur e percorrendo una starada sterrata con tanto di guado di un piccolo fiume (fortuna la 4×4!).
Verso le 18.00 siamo di nuovo nel luogo da dove siamo partiti 9 giorni fa: Keflavik, e dopo aver effettuato il check-in in albergo facciamo un salto in aeroporto per verificare che il nostro volo sia confermato.
In aeroporto otteniamo tutte le informazioni richieste, così prima di fare ritorno in albergo ceniamo con un panino e una bella spremuta fresca per Arianna e Andrea da Joe & the juice. Così termina la nostra ultima serata qui: con Stefano, Andrea e Arianna che dormono sfiniti da un viaggio entusiasmante, ma molto impegnativo in termini di fatica fisica, spirito di adattamento, resistenza, ed io che ammiro dalla finestra i fuochi d’artificio che illuminano la notte islandese.
DOMENICA 18 AGOSTO 2019:
Ultima colazione sotto un cielo grigio e imbronciato. Riconsegniamo la nostra Dacia Duster all’agenzia di autonoleggio e veniamo accompagnati con un van in aeroporto. Qui la ressa è enorme, la confusione totale: nessuna sa qual è la fila giusta, ma finalmente dopo qualche peripezia e veloce chiarimento, in men che non si dica ci troviamo sull’aereo diretto a Copenhagen e da qui a Bologna. Eccolo il momento che mi ero tenuta nella mente fin dall’inizio: noi in fila indiana con i nostri trolley che camminiamo stanchi verso il P3 dell’aeroporto Marconi, ognuno immerso nei propri pensieri, ognuno intento a riordinare i propri ricordi, ognuno impegnato a metabolizzare le proprie emozioni, ma tutti indubbiamente con una luce negli occhi diversa da quella che accendeva l’eccitazione il giorno della partenza e faceva salire l’adrenalina; una luce che nasce dalla memoria di luoghi visitati, di leggende lette, di persone incontrate e di pensieri nati osservando l’orizzonte sull’oceano, da una nuova consapevolezza maturata attraverso quei sentieri costruiti viaggiando.
Mi piace concludere con una citazione di Mark Twain: “Tra vent’anni non sarete delusi delle cose che avrete fatto, ma di quelle che non avrete fatto. Allora levate l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite”.
… e noi di vento in poppa ne abbiamo avuto veramente tanto!
Lascia una Commento